Le novità della settimana mondiale del cervello

Dal 13 al 19 marzo si celebra la Settimana Mondiale del Cervello, sul tema “Curare il cervello migliora la vita”. Lo annuncia la Società Italiana di Neurologia (SIN) che promuove iniziative di informazione e sensibilizzazione dedicate alla popolazione e alle scuole, su tutto il territorio nazionale. Queste le novità più recenti: anche il cervello giovane è vulnerabile, può essere cioè soggetto a malattie neurologiche degenerative, a cefalee, o attacchi epilettici. Ma può subire danni anche da traumi di lieve entità, con problemi diffusi e disturbi cognitivi rilevanti. Anche l’abuso di sostanze come alcool, marijuana, allucinogeni, ecstasy e cocaina, sono spesso responsabili di un calo della memoria verbale, delle funzioni visivo-spaziali, dell’ attenzione e concentrazione, con un conseguente abbassamento globale delle funzioni cognitive. A confortare però ci sono anche delle buone notizie: nell’ultimo ventennio è diminuita del 29% l’incidenza dei primi episodi di ictus, sia ischemici che emorragici, grazie all’aumento delle strategie preventive, al miglior controllo dei fattori di rischio vascolare e al ruolo della chirurgia vascolare sempre più ‘specializzata’. Novità importanti riguardano anche il trattamento del Parkinson in fase avanzata, dove viene confermata l’importanza di terapie riabilitative specifiche quale garanzia per un miglioramento dei movimenti, quindi dei sintomi motori e della qualità della vita. Accertarti i benefici dall’uso innovativo della levodopa (il farmaco standard per la cura del Parkinson) iniettato come infusione intestinale, mentre allo studio ci sono anche formulazioni per via inalatoria e sottocutanea. Ulteriori  opportunità di cura sembrano profilarsi dall’uso di inibitori enzimatici in grado di aumentare la concentrazione di dopamina nel sistema nervoso centrale. Non meno importanti le strategie terapeutiche per l’Alzheimer attraverso farmaci che bloccano gli enzimi che producono la beta-amiloide, responsabile dello sviluppo di malattia, o di anticorpi capaci di determinare la progressiva scomparsa di questa sostanza, già presente nel tessuto cerebrale. E, a riguardo, è in corso una sperimentazione “Mild Cognitive Impairment” nelle forme iniziali di demenza e anche in soggetti normali che risultano positivi ai test per l’accumulo di beta amiloide (PET o esame del liquor cerebro-spinale) con la prospettiva che queste nuove strategie possano modificare il decorso della malattia, prevenendone l’esordio. Infine il sonno, la cui cattiva qualità potrebbe essere anche predittiva di una patologia neurodegenerativa, come Parkinson (70-90%), Alzheimer (80-90%) o Sclerosi multipla (50-60%). Recenti studi condotti in modelli animali avrebbero, infatti, evidenziato che la privazione di sonno accelera l’aggregazione di beta-amiloide: dunque dormire bene, curando anche eventuali disturbi del sonno, potrebbe rappresentare un obiettivo importante nell’ambito di possibili strategie preventive per le malattie neurodegenerative.  F.M.

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