Luciana Savignano: «Credo che la vita possa essere ogni giorno straordinaria»

Una stella assoluta e senza tempo. Una stella che seduce, incanta, stupisce, emoziona. Chi l’ha vista danzare sa che Luciana Savignano riesce a sprigionare un magnetismo unico: sensualità e carisma. Un passato glorioso: musa ispiratice di maestri come Maurice Béjart, Mario Pistoni, Paolo Bortoluzzi, Roland Petit, Micha van Hoecke, sui palcoscenici più prestigiosi del mondo. E un presente altrettanto impegnato. A ottobre è tornata in scena al Franco Parenti di Milano con Tango di Luna, spettacolo di grande suggestione creato per lei nel 2004 dalla coreografa e regista Susanna Beltrami, in una versione rinnovata. Ed è subito magia. Lei entra in scena e tutto attorno cala il silenzio. L’anagrafe conta davvero poco se in scena c’è Luciana Savignano. Un incanto rimasto intatto a dispetto degli anni anagrafici (“un artista è senza età”).

A maggio, a Lucca, in occasione del Dance Meeting, le è stato consegnato il premio alla carriera. E quest’anno saranno 70 anni da quando si iscrisse alla scuola di danza della Scala, quando aveva solo 10 anni. Che ricordo ha di quel giorno?
«Alla prova di ammissione alla scuola di danza mi presentai un mese dopo, perché la prima lettera di convocazione non arrivò. Per fortuna me ne inviarono un’altra. Ricordo che quel giorno, dopo aver superato le selezioni, la segretaria Maria Simonetti, disse: “Ma sì prendiamola questa giapponesina”».

La sua prima grande affermazione alla Scala è stata nel ruolo di solista nel Mandarino meraviglioso di Mario Pistoni nel 1968 con musica di Béla Bartók: come ci arrivò?
«Mi scelse per il ruolo della prostituta. Durante le prove Pistoni mi disse: “Sciogliti i capelli”. Fu come se mi avesse detto “spogliati”, giusto per farle capire com’ero caratterialmente a quel tempo… poi con il trascorrere del tempo ho superato le fragilità».

Nel 1972 viene nominata prima ballerina. Un incontro fondamentale nella sua vita è stato quello con Maurice Béjart, il grande coreografo francese, di cui per anni è stata la musa, la ballerina più amata. Dove vi incontraste?
«Fu nell’ascensore della Scala. Era il 1973: mi piantò addosso i suoi occhi blu come una lama che mi ha trafitto. Sentii subito che con lui avrei fatto cose meravigliose. Poco dopo mi invitò nella sua “Compagnie du XX siècle” per il balletto Nona sinfonia, mi fece danzare a piedi nudi. E mi cambiò la vita. È stato un incontro assolutamente importante: mi ha forgiato e mi ha proiettato verso mondi che magari non avrei neppure immaginato».

Cosa è per lei la danza?
«Per me la danza non è solo tecnica: è interiorità, è emozione, qualcosa che deve arrivare dall’anima. L’aveva intuito subito Béjart, il quale mi ha detto: “Tu non sei una ballerina normale, non ti bastano i fouettés, cerchi altro”. Ho sempre cercato di dare nella danza la mia emozionalità, le mille contradditorie sfaccettature della mia anima. E se arrivano al pubblico, è la cosa più bella che possa succedere. Danzare per me è entrare in contatto fisico con la libertà. Sono molto istintiva, ho sempre seguito il mio corpo, la mia mente, il mio stato d’animo, ciò che mi faceva più vibrare, cogliendo quanto il destino mi offriva. Ho sempre danzato un ruolo quando sentivo una spinta interiore, quando avvertivo vibrare dentro qualcosa in grado di far diventare mio quel personaggio».

Qual è il rapporto con il suo corpo?
«Di ascolto, perché il corpo manda dei messaggi. Bisogna intelligentemente capire di cosa il corpo ha bisogno in quel momento e quello che può dare. Conosco ogni mio tendine, muscolo e articolazione. So fino a che punto forzare o no… Ho minor resistenza tra un allenamento e l’altro e necessito di più ore per riprendermi, ovvio: in compenso, mi serve meno tempo per esercitarmi perché l’esperienza supplisce. A vent’anni non ti senti mai a posto. Quanto all’età, accetto che il corpo si trasformi. La mattina quando mi alzo, mi sdraio sul pavimento e mi ascolto, cercando di capire quali sono le necessità di quel giorno. A volte non sono proprio al top del top. Allora con calma, mi dico: “Oggi cosa c’è che non va?”. Oppure: “Oggi mi sento meglio”. Poi c’è la passeggiata quotidiana con il mio meraviglioso cane Calù. Vicino a casa mia a Milano, c’è un bel giardino intitolato ad Alberto Moravia, un’oasi di verde, luogo di silenzio. E il corpo mi ringrazia».

Luciana, lei ha lunghe braccia che sembrano ali, da sempre, parlano, danzano…
«”Le nostre braccia hanno origine dalla schiena perché un tempo erano ali”, affermava Martha Graham, la grande danzatrice e coreografa americana. Una volta, ricordo, Roland Petit mi ha guardata e mi ha detto: “muovi le braccia come un serpente”. Le braccia hanno infatti un grandissimo valore espressivo e definiscono perfettamente ogni posa».

Fisico da ragazza asciutto, sottile, che sprigiona energia ed elasticità. Qual è il segreto?
«Nessun segreto, mai fatto un giorno di dieta, e chi mi incontra al supermercato può testimoniare che compro di tutto. Il mio corpo che è così. Ho un grande tappeto e alla mattina faccio stretching. Mi stendo per terra e comincio a muovermi pian piano come in un rallenty, facendo arrivare energia alle gambe, alle caviglie, al collo. Ho anche una piccola sbarra con cui mi esercito tutti i giorni, perché voglio restare plastica e flessibile. Vado volentieri alle terme, in particolare a Sirmione, ma niente massaggi: mi piace immergermi nelle calde acque ricchissime di iodio, bromo, zolfo e cloruro di sodio e nuotare in piscina».

Il suo modo di danzare era già molto moderno. Aveva una fisicità diversa dagli standard dell’epoca. Molta accademia, ma poi anche esercitazione…
«Ho avuto un fisico sempre molto proiettato al futuro. Mi è sempre piaciuto sperimentare il nuovo, osare. Sono sempre stata una temeraria, una timidissima temeraria. Da piccola mi piacevano le storie dei corsari, avevo la serie completa Il corsaro nero, Jolanda la figlia del corsaro nero. Nella danza viene fuori un lato di me inconsapevole, ma evidentemente è ciò che ho dentro altrimenti non uscirebbe in maniera così naturale. È necessario mettersi in gioco se si vuole stare in questo mondo e dire qualcosa. Diversamente non avrei potuto interpretare L’Angelo Azzurro” di Roland Petit, mi sentivo agli antipodi di Marlene Dietrich. Ho fatto anche un “Don Giovanni” al femminile».

Il suo piatto preferito?
«La pasta: cambio i condimenti, una volta con i pomodorini, un’altra con il pesto, invento, con un calice di vino rigorosamente rosso la sera. In cucina mi arrangio: mia mamma nativa di Ligonchio era invece una cuoca eccezionale. Per me il momento più bello della giornata e in cui gusto di più il cibo, è il mattino. A colazione ho bisogno di dolce: miele e biscotti non devono mancare. Sono golosa di crostate di marmellata e di cioccolato, a Torino producono del cioccolato squisito. Mi destreggio ancora tra Milano e Torino dove vive mio marito, Carlo Bagliani esperto in medicina cinese».

Dove attinge energia nei momenti difficili?
«L’energia la cerco in me stessa. In ognuno di noi c’è una forza che aiuta, bisogna accettare il momento che si vive, certi che verrà un’altra soluzione. Credo che la vita venga sempre incontro, l’ho sperimentato su di me: quando mi sono trovata davvero in difficoltà e pensavo di non riuscire a trovare soluzioni, succedeva qualcosa che le risolveva. Per esempio quando è mancata mia mamma ho incontrato mio marito e così molte altre volte: è faticoso cercare le sorgenti profonde, ma quando si trovano è meraviglioso».

Il tempo che passa. Che cosa significa per lei?
«So che la vita ha un suo corso, un inizio e una fine. Accetto le evoluzioni dell’esistenza come accetto che la gamba non si alzi più come una volta. Ma la danza non è solo acrobazia, è anche gesto, sguardo, seduzione, personalità. Penso a Nureyev: bastava che entrasse in scena e non ce n’era più per nessuno. Anche senza fare niente, riempiva tutto».

Ama rivedersi nei video?
«Non amo le celebrazioni, nemmeno rivangare troppo il passato. Non sono curiosa di vedere come ero. Mi interessa vedere come sono oggi. E voglio ancora sorprendermi di me stessa. Certo, sono stati anni indimenticabili quelli che ho vissuto e dunque ogni giorno ho parecchi motivi per esprimere gratitudine alla vita, ma non ho nostalgie. Sto nel presente, anche se come una lumaca con il suo guscio, mi porto dietro tutte le esperienze, i ricordi, gli sguardi delle persone che ho incontrato, le parole che mi sono state dette».

Cosa tiene sul comodino?
«L’arte di essere felici e vivere a lungo, di Lucio Seneca. Ogni sua frase è attuale e piena di saggezza. “Le proprie forze non si apprendono se non sperimentandole”. Sembra impossibile che tutto ciò sia stato scritto migliaia di anni fa. E così anche per me».

Ha timore della vecchiaia?
«Sono ottimista. Non smetto di credere che la vita possa presentarci ogni giorno sorprese ed essere ogni giorno straordinaria, ad ogni età. Cerco di vivere intensamente il presente e l’attimo, sia nella vita privata che in quella artistica. Finché faccio cose che mi piacciono e il fisico regge, danzerò ancora, chiaramente il tutto con un calibro oculato e attento. La salute per il momento tiene. Mio marito ha voluto farmi fare un sacco di esami, risultati tutti nella norma. Il mio punto debole? Soffro di mal di stomaco e sono metereopatica. Ma non mi lamento, non sopporto la mia voce che si lagna. E allora faccio come gli animali, quando si ammalano o sono feriti, mi ritiro nel mio guscio».

Progetti per il futuro?
«Non ne faccio mai a lunga scadenza, valuto di volta in volta. Sono grata e consapevole del fatto che ballare creazioni meravigliose a questa età per una ballerina non sia scontato. Ed è importante che ci siano coreografi interessati a crearne. Ma perché si capisca la bellezza della vita e dell’essere umano, in tutte le sue età. Apro le braccia… vedrò cosa mi verrà donato».

di Cristina Tirinzoni
Foto in apertura di S. Lazzaro

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