“Tumore all’ovaio. Manteniamoci informate”: l’importanza dei test genetici

«Non è facile ricevere ed accettare una diagnosi di tumore all’ovaio: la mia è datata 2013. Ricordo la grande paura che ho avuto di non farcela. Ma non mi sono mai arresa, nonostante la prognosi abbastanza infausta. Sono andata in menopausa a 47 anni e due anni dopo, da un controllo ginecologico di routine, ho scoperto due grosse masse all’ovaio. Non avevo assolutamente sintomi, a parte un po’ di gonfiore addominale che avevo attribuito ai pranzi e cene natalizie, essendo appena trascorse le festività. Invece la diagnosi era quella di un tumore a uno stadio avanzato, aggressivo, che poteva generare metastasi. Dopo l’intervento chirurgico all’Ospedale San Gerardo di Monza, sono stata bene per circa due anni, ma poi nel 2015 sono comparse le recidive. A questo punto sono stata presa in carico all’IEO (Istituto Europeo di Oncologia) e inclusa nella sperimentazione di un nuovo farmaco, della classe dei PARP-inibitori, che sto assumendo ancora adesso con 4 pastiglie al giorno. In quell’occasione mi hanno proposto di fare il test genetico per evidenziare se ero portatrice della mutazione BRCA. Il risultato era positivo. Tramite ricerche su internet sono venuta a conoscenza dell’associazione aBRCAdabra che si propone di informare le donne sulla possibilità di fare questo test, sia per poter utilizzare terapie più mirate ed efficaci, sia per capire se qualche altro familiare sia portatore di queste mutazioni che aumentano il rischio di tumore al seno e all’ovaio. Anche le mie due figlie, che oggi hanno 32 e 30 anni, sono risultate positive alla mutazione BRCA. Entrambe hanno deciso per la mastectomia profilattica, per evitare almeno il rischio di tumore al seno: la prima si è già sottoposta all’intervento chirurgico, mentre la seconda è prenotata per l’anno prossimo. Essendo ancora giovani, non hanno voluto ricorrere all’asportazione delle ovaie. Se mi fossi sottoposta prima a questo test avrei sicuramente optato per l’annessiectomia profilattica, anche perché all’epoca avevo già due figlie. In un certo senso devo “ringraziare” il mio cancro: se non mi fossi ammalata, non avrei dato alle mie figlie la possibilità di poterlo prevenire. Mi sono sentita utile e sono contenta di aver potuto difendere le mie figlie da questa minaccia. La vita dopo un tumore all’ovaio ovviamente non è più la stessa. Ogni minimo disturbo ti crea ansia. Ma oggi, grazie ai farmaci che sto assumendo, la malattia si è “cronicizzata”. Tra qualche anno raggiungerò la soglia del decimo anno di terapia e poi non so ancora se dovrò continuare oppure interromperla. Ad oggi, infatti, la sperimentazione di questi farmaci arriva a dieci anni. E forse sono una delle persone più longeve. Grazie a queste terapie e all’assistenza in un centro specializzato come l’IEO, oggi mi sento sicura e questo tumore non mi fa più paura».

Lucia, che vive a Busto Arsizio, è una delle oltre 8000 donne che convivono con questo tumore in Lombardia, dove si registrano circa 900 nuovi casi all’anno. Per informare le donne, in particolare quelle lombarde, su questo tumore, è approdata al Policlinico San Matteo di Pavia la Campagna “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!”, realizzata da Pro Format Comunicazione e Mad Owl, in collaborazione con le Associazioni aBRCAdabra onlus, ACTO, LOTO, e Mai più sole e sponsorizzata da GSK.

Ogni anno oltre 130 pazienti vengono prese in carico presso il Centro d’eccellenza di Ginecologia Oncologica del Policlinico San Matteo di Pavia e possono avvalersi del supporto di Associazioni pazienti come aBRCAdabra Onlus e ACTO Onlus, attive da molti anni sul territorio lombardo. Di anno in anno, si arricchiscono le conoscenze su questo tumore: terapie di mantenimento che aumentano il tempo libero da malattia e sono efficaci su tutte le pazienti che rispondono al platino. Test genetici che permettono di rilevare le mutazioni BRCA 1 e 2 e di accertarne il carattere ereditario, per attivare sorveglianza e prevenzione sui familiari delle pazienti. Chirurgia sempre più precisa e specialistica. La conoscenza dei sintomi, che può accelerare il percorso diagnostico e terapeutico di un tumore, ancor oggi prima causa di morte tra le neoplasie ginecologiche.

La nuova edizione della campagna “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!” ha scelto di dare direttamente la parola alle donne: pazienti delle Associazioni promotrici della campagna, che si sono già confrontate con la diagnosi di tumore ovarico, condividono consigli ed esperienze sul percorso di cura attraverso videomessaggi “da donna a donna” veicolati sulla landing page www.manteniamociinformate.it: 8 brevi video dedicati ad aspetti chiave come la scoperta della malattia, il rapporto con i medici, le risorse che aiutano a ritrovare la qualità di vita. A questa iniziativa si affianca un tour itinerante di eventi territoriali, l’attività d’informazione negli ambulatori onco-ginecologici e una campagna digital e social che si avvale delle illustrazioni del visual designer Gaetano Di Mambro. I prossimi incontri saranno il 6 dicembre a Rimini e subito dopo a Trento.

Il tumore ovarico è subdolo, i suoi sintomi sono aspecifici o non riconosciuti, tanto che nel 70-80% dei casi viene diagnosticato quando la malattia è in fase avanzata, riducendo in questo modo le possibilità di guarigione, ma anche di cura. «Sarebbe fondamentale diagnosticare precocemente il tumore ovarico in quanto lo stadio di malattia alla diagnosi condiziona le probabilità di sopravvivenza, ma purtroppo non sono ancora disponibili screening efficaci e il tumore ovarico dà segni solo in fase avanzata», puntualizza Chiara Cassani, Dirigente medico presso la Ginecologia e Ostetricia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia e Ricercatrice presso Università degli Studi di Pavia. «L’unica strategia preventiva è la chirurgia profilattica nelle donne a rischio che vengono identificate con i test genetici BRCA 1 e 2. Quanto al trattamento, molto è cambiato negli ultimi anni: la chirurgia si è evoluta ed è oggi altamente specialistica, effettuata in Centri di riferimento e può essere mininvasiva negli stadi iniziali e multiorgano negli stadi avanzati, con l’obiettivo di asportare tutta la malattia. Un altro progresso è stato fatto nelle terapie con l’arrivo di farmaci di mantenimento, come i PARP-inibitori, che hanno l’obiettivo di ritardare il più possibile una recidiva, prolungando il tempo libero da malattia e aumentando le probabilità di guarigione. Sono farmaci intelligenti che hanno come bersaglio un enzima chiamato PARP implicato nei meccanismi di riparazione del DNA: se viene bloccato questo enzima, la cellula non ripara i danni e muore. I PARP-inibitori vengono utilizzati tanto nelle donne con mutazione genetica BRCA quanto nelle donne non mutate». La possibilità per tutte le donne di accedere alle terapie di mantenimento orali, che permettono di allontanare le ricadute e il ritorno in ospedale per le infusioni, rappresenta una delle innovazioni più importanti di questi anni, ottenuta grazie al supporto continuativo della ricerca.

Un’opportunità importante per anticipare la diagnosi è legata allo studio della familiarità e quindi alla presenza di mutazioni ereditarie come BRCA 1 e BRCA 2: infatti nel 25% dei casi il tumore ovarico è di origine genetico-ereditaria. «La conoscenza dei test genetici da parte delle donne è fondamentale: il primo test è somatico e viene effettuato su tessuto tumorale: permette di sapere se una donna è portatrice o meno di una mutazione dei geni BRCA; il secondo test è quello germinale, ovvero del sangue ed è l’unico in grado di stabilire il carattere ereditario della mutazione», spiega Eloisa Arbustini, Direttore Centro Malattie Genetiche Cardiovascolari, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. «La ricerca negli ultimi decenni ha portato alla scoperta di alcuni geni, le cui alterazioni predispongono all’insorgenza del tumore ovarico. Questi geni sono diventati oggetto di test diagnostici capaci di identificare le donne portatrici di queste mutazioni: questo ha contribuito in maniera sostanziale al miglioramento della diagnosi e ha consentito di introdurre nuove terapie mirate. Inoltre, questi test sono utili anche per identificare i familiari a rischio: al Policlinico di Pavia tutte le donne con una diagnosi di tumore ovarico possono accedere ai test genetici e sono ben informate su questa possibilità. In generale, i test genetici vanno sempre eseguiti in caso di diagnosi di tumore ovarico o quando esiste la possibilità di una familiarità per tumore. Di solito è l’oncologo che indirizza alla consulenza genetica. Se una donna scopre di essere positiva verrà indirizzata dagli specialisti della genetica e dagli oncologi a eseguire tutti gli esami e i test preventivi. La donna entra così in un percorso di PDTA prestabilito e dedicato come è quello del San Matteo».

L’informazione sul tumore ovarico ha un ruolo chiave perché nell’ultimo decennio si è verificata una progressiva evoluzione delle terapie che stanno riposizionando le consolidate terapie di mantenimento con anti-VEGF, somministrate per via infusionale in day-hospital, per lo più nelle pazienti che non rispondono alla chemioterapia o in recidiva di malattia. Tutto questo comporta un chiaro miglioramento della qualità di vita delle pazienti e del loro percorso di cura. In questo caso è fondamentale il supporto delle Associazioni perché la donna con diagnosi di tumore ovarico ha numerose esigenze e bisogni e va supportata nel post-operatorio.

È quanto si propone di fare l’Associazione aBRCAdabra onlus, attiva dal 2015. «La campagna “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!” serve a mantenere alta l’attenzione delle donne sull’importanza di essere curate in centri altamente specializzati, sulla possibilità di accedere a cure sempre più personalizzate e ai test genetici», dichiara Fabrizia Galli, Vice Presidente aBRCAdabra onlus. «Scoprire di essere portatrici di una variante dei geni BRCA è una brutta notizia, per cui la prima reazione è di paura e confusione, anche per la carenza di informazioni: a questo si somma la preoccupazione di aver trasmesso la mutazione ai propri figli. Le donne oggi sono più informate riguardo ai test genetici rispetto al passato, ma sanno ancora troppo poco, ad esempio poche conoscono la differenza tra test somatico e germinale. Bisogna lavorare molto sulla comunicazione: per questo serve parlarne e i primi a farlo dovrebbero essere proprio i ginecologi e i medici di medicina generale. L’informazione è importante per la prevenzione, la diagnosi precoce e per scoprire eventuali familiarità».

Presente sul territorio lombardo con l’obiettivo di stare accanto alle donne con tumore ovarico anche l’Associazione ACTO Onlus. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera rivoluzione nella cura del tumore ovarico grazie a più informazione, prevenzione e soprattutto alle nuove terapie», afferma Elisabetta Ricotti, Direttore Comunicazione di ACTO. «Ci troviamo davanti a una nuova sfida: quella di garantire una buona qualità di vita alle donne colpite da questo tumore che vivono più a lungo. Ecco perché ci stiamo dedicando a offrire alle pazienti anche terapie integrate quali il movimento, la consulenza psicologica, la nutrizione e molte altre che possono aiutarle a recuperare il benessere fisico e psicologico. Mi limito a citare quanto sta facendo in questi mesi la nostra affiliata ACTO Lombardia, in collaborazione con gli ospedali lombardi: le prestazioni di onco-estetica e le sedute gratuite di radiofrequenza per superare i problemi della sfera intima che colpiscono le donne con tumori ginecologici».

di Paola Trombetta

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