Tumore al seno: le nuove linee terapeutiche presentate all’ASCO

“Ho avuto il tumore al seno e da 20 anni difendo i diritti delle pazienti”. Patricia A. Spears in realtà fa molto di più. È anche una microbiologa e si occupa di ricerche in ambito immunologico, ricoprendo il ruolo di Research Manager e al tempo stesso Patient Advocate presso il Lineberger Comprehensive Cancer Centre dell’Università del North Carolina. Per questi importanti incarichi è stata insignita del Premio Patient Advocate Award al Congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology) 2022, l’annuale appuntamento mondiale di Oncologia che, dopo due anni, è ritornato in presenza e si è appena concluso a Chicago.

Incoraggianti notizie sono state presentate per le donne con tumore al seno HER positivo. Nello studio registrativo di fase 3, DESTINY-Breast04, la terapia trastuzumab deruxtecan ha dimostrato una sopravvivenza libera da progressione di malattia e una sopravvivenza globale superiori e clinicamente significative rispetto alla chemioterapia standard, per le pazienti con carcinoma mammario HER2-low (con bassa espressione del gene HER) non operabile o metastatico, con malattia sia positiva che negativa al recettore ormonale (HR) precedentemente trattate.
I risultati sono stati presentati durante la sessione plenaria del Congresso americano e contemporaneamente pubblicati sul New England Journal of Medicine. Trastuzumab deruxtecan è un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato anti-HER2 specificamente progettato, sviluppato e commercializzato congiuntamente da Daiichi Sankyo e AstraZeneca. Nel dettaglio dello studio DESTINY-Breast04, trastuzumab deruxtecan ha dimostrato una riduzione del 49% del rischio di progressione della malattia o di morte rispetto alla chemioterapia tradizionale, in pazienti con carcinoma mammario metastatico a bassa espressione di HER2 con malattia HR positiva. In queste pazienti è stata osservata una sopravvivenza media di 10 mesi nelle pazienti trattate con trastuzumab deruxtecan rispetto a 5,4 mesi con chemioterapia. I risultati hanno anche mostrato una riduzione del 36% del rischio di morte con trastuzumab deruxtecan rispetto alla chemioterapia nelle pazienti con malattia HR positiva, con una sopravvivenza globale media di 23,9 mesi con trastuzumab deruxtecan rispetto a 17,5 mesi con la chemioterapia. Il tasso di risposta obiettiva confermata è più che triplicato nel braccio trastuzumab deruxtecan rispetto alla chemioterapia.

«Trastuzumab ha dimostrato di essere efficace in tumori al seno con alta espressione di HER2, chiamati HER2 positivi, ma non in quelli con bassi livelli di espressione di HER2, cosiddetti HER2Low», commenta Giuseppe Curigliano, Professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore della Divisione sviluppo Nuovi Farmaci per Terapie Innovative allo IEO di Milano. «Questo studio dimostra che trastuzumab deruxtecan può essere una nuova terapia a bersaglio molecolare altamente efficace e un’opzione terapeutica disponibile per la popolazione di pazienti HER2-low. È importante che i pazienti sappiano quale livello di HER2 esprime il loro cancro, non solo se è positivo o negativo, soprattutto perché lo stato HER2-low può essere determinato utilizzando test comunemente disponibili».

I dati hanno dimostrato efficacia di trastuzumab deruxtecan anche nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2low con malattia HR positiva o HR negativa e tra pazienti con diversi livelli di espressione di HER2: in tutte è stata osservata una riduzione del 50% del rischio di progressione della malattia o di morte con trastuzumab deruxtecan rispetto a chemioterapia, con una sopravvivenza media di 9,9 mesi rispetto a 5 mesi nelle pazienti trattate con chemioterapia. I risultati dell’endpoint secondario in tutte le pazienti hanno mostrato una media di 23,4 mesi per trastuzumab deruxtecan rispetto a 16,8 mesi con la chemioterapia.

«Nel 2020, in Italia, sono stati stimati circa 55mila nuovi casi di tumore della mammella, la neoplasia più frequente in tutta la popolazione. I tumori del seno HER2-low non hanno alta espressione del recettore HER2 e costituiscono il 55% di tutti i carcinomi mammari, di cui l’85% nel gruppo di quelli endocrino responsivi e il 15% nel gruppo dei “triplo negativi”. Al momento, questi pazienti ricevono la chemioterapia», spiega Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). «Lo studio DESTINY-Breast04 ha confrontato la chemioterapia a trastuzumab deruxtecan, anticorpo coniugato anti HER2. I risultati della sperimentazione cambiano l’algoritmo di cura in questa patologia e la pratica clinica, perché abbiamo la possibilità di trattare i pazienti con un anticorpo coniugato, riducendo gli effetti collaterali della chemioterapia e migliorando il tempo di controllo della malattia e la sopravvivenza globale. Si delinea quindi un nuovo sottotipo di tumore mammario, quello HER2-low, con importanti implicazioni terapeutiche, perché potranno essere utilizzate terapie mirate in una vasta popolazione di pazienti, precedentemente considerata HER2-negativa».

Il profilo di sicurezza di trastuzumab deruxtecan è risultato in linea con gli studi clinici precedenti: gli eventi avversi più comuni sono stati neutropenia (13,7%), anemia (8,1%), leucopenia (6,5), fatigue (7,5%), trombocitopenia (5,1%), nausea (4,6%), diminuzione dell’appetito (2,4%), vomito (1,3%) e diarrea (1,1%). I tassi di malattia polmonare interstiziale o di polmonite sono risultati in accordo con quelli osservati negli studi sul carcinoma mammario HER2 positivo in fase avanzata di trastuzumab deruxtecan, con un tasso inferiore di grado 5.

 Gli oncologi al Congresso estendono l’utilizzo dei test genomici

Test genomici sempre più importanti e utilizzabili per il trattamento del carcinoma mammario allo stadio iniziale. L’aggiornamento delle Linee Guida della Società Americana di Oncologia Clinica (American Society of Clinical Oncology, ASCO) ha esteso l’uso di questi esami in grado di limitare il ricorso alla chemioterapia dopo l’intervento chirurgico. Il test genomico a 21 geni, Oncotype DX, è ora raccomandato nelle pazienti in postmenopausa con un massimo di tre linfonodi ascellari positivi. Inoltre è l’unico consigliato alle donne in premenopausa con linfonodi negativi e può essere utilizzato indipendentemente dal rischio clinico. Oncotype DX risulta il più raccomandato tra tutti i test multigenici inclusi nelle Linee Guida. A darne notizia sono gli esperti al Congresso dell’ASCO. «Il test Oncotype DX è già stato utilizzato da oltre un milione di donne in 90 diversi Paesi di tutto il mondo», precisa Saverio Cinieri, Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). «L’aggiornamento delle Linee Guida da parte dei colleghi statunitensi, offre ulteriori possibilità agli specialisti nell’individuare i rischi e i benefici di una chemioterapia. Tutto questo è un indubbio vantaggio sia per le pazienti, che per i sistemi sanitari». In Italia, tuttavia, sono esami non ancora sufficientemente utilizzati. Non tutte le Breast Unit nel nostro Paese, ordinano regolarmente i tre i test disponibili. «Va incentivato il loro utilizzo nell’interesse di tutta la collettività», aggiunge Maria Vittoria Dieci, Professore Associato di Oncologia Medica all’Università di Padova. «Ricordiamo che poco meno di un anno fa il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato il decreto attuativo per la creazione di un fondo da 20 milioni di euro per l’acquisto di test genomici. Ci sono poi voluti altri mesi perché tutti e 21 i nostri sistemi sanitari regionali recepissero il provvedimento e rendessero effettivamente gratuiti questi presidi sanitari. Ora è giunto il momento di favorirne la diffusione, anche migliorando la preparazione degli specialisti».

L’aggiornamento delle Linee Guida ASCO comprende i risultati dello studio RxPONDER, pubblicati sul The New England Journal of Medicine. La ricerca ha dimostrato che il test identifica una maggioranza di pazienti con tumore del seno di stadio iniziale, con 1-3 linfonodi positivi che potrebbero evitare la chemioterapia. Le donne in postmenopausa con risultati del test Oncotype da 0 a 25 non hanno mostrato benefici dall’aggiunta di chemioterapia all’ormonoterapia. Le pazienti in premenopausa con risultati da 0 a 25 hanno ottenuto un beneficio del 2,4% dalla chemioterapia in termini di recidiva a cinque anni.

«I test genomici rappresentano una preziosa risorsa, ma non possono essere prescritti a tutte le pazienti. Vanno utilizzati in casi specifici, per poter essere realmente efficaci. Delle 55mila donne colpite ogni anno da neoplasia mammaria, circa due su tre sono tumori HR+ ed HER2-, oltre il 90% dei carcinomi non è metastatico al momento della diagnosi e due pazienti su tre risultano in post menopausa. Sono donne a cui potenzialmente possiamo prescrivere il test per valutare o meno il ricorso ad un’eventuale chemioterapia». «Quest’ultima è una cura efficace, ma ha indubbie tossicità ed effetti collaterali», conclude il professor Cinieri. «Inoltre presenta costi rilevanti, che impattano sul SSN. Innovazione in oncologia significa offrire al paziente i trattamenti migliori, più efficaci e meno invasivi possibile. In quest’ottica rientra anche l’uso dei test genomici e di tutti gli strumenti in grado di personalizzare le cure anti-cancro».

di Paola Trombetta

Articoli correlati