Beta-talassemia: una nuova terapia può ridurre di oltre il 30% le trasfusioni di sangue

«Giorgio compie 20 anni a luglio. È un giovane intraprendente e dinamico e lavora come imprenditore nel marketing in Bulgaria, dove sta anche studiando Medicina in lingua inglese. Ogni 45 giorni però ritorna nella sua città, Ragusa, al Centro di cura della Talassemia, per sottoporsi alla terapia trasfusionale per una malattia con cui convive da quando è nato: la Talasso-Drepanocitosi. Giorgio infatti è affetto contemporaneamente da Anemia falciforme e Talassemia. La scoperta è avvenuta quando aveva circa un anno ed è stata un fulmine a ciel sereno!», come racconta, senza nascondere l’emozione, il padre, Raffaele Vindigni, oggi Presidente United Onlus (Federazione Nazionale delle Associazioni, Talassemia, Drepanocitosi e Anemie Rare). «Pur essendo io portatore sano di Talassemia e mia mogie di Anemia falciforme, mai avremmo immaginato che nostro figlio potesse nascere addirittura con entrambe le malattie. Da lì è iniziato un percorso tortuoso per trovare le cure giuste: dapprima con il trapianto di cellule staminali e poi con trasfusioni e farmaci chelanti del ferro, per impedire che si depositi in eccesso nei vari organi. Giorgio ha dovuto affrontare diverse crisi emolitiche, occlusioni di vasi sanguigni. Ma l’abbiamo abituato fin da piccolo a non considerarsi diverso per questa patologia, che è comunque curabile. A scuola parlava tranquillamente ai suoi compagni e spiegava la malattia di cui era affetto e il motivo per cui spesso doveva assentarsi da scuola per le trasfusioni. E addirittura, quando lo portavamo al centro trasfusionale, era lui a incoraggiare gli altri bambini a non avere paura. Con mia moglie siamo sempre stati orgogliosi di nostro figlio, soprattutto di come ha affrontato con naturalezza la sua malattia. È il messaggio che vorrei trasmettere a tutti i genitori che come noi hanno un figlio in questa situazione. Ed è il motivo per cui ho deciso di impegnarmi nell’Associazione che esiste da dieci anni e quest’anno è diventata una Federazione, raggruppando ben 26 associazioni in tutt’Italia. Insieme cerchiamo di prenderci cura del fabbisogno dei soci: laddove ci sono lacune, ci proponiamo di sensibilizzare anche le istituzioni. E di aiutare quei genitori che ancor oggi nascondono la malattia, col rischio di isolare i propri figli. Sto cercando in tutti i modi di raccontare la mia storia, per dare coraggio, per convincerli a superare lo stigma che questa patologia a volte ancora comporta. E soprattutto per rassicurarli che le terapie oggi esistono e i progressi nella ricerca stanno avanzando».
In particolare è da poco disponibile una nuova molecola, luspatercept, prodotta da Celgene, azienda di Bristol Myers Squibb, rimborsata anche in Italia dallo scorso dicembre, che consente di allungare gli intervalli tra le trasfusioni o di diminuire le unità di sangue da trasfondere, migliorando così la qualità di vita dei pazienti con Beta-talassemia, malattia genetica del sangue che causa una grave anemia e colpisce oltre 5000 persone in Italia. La loro esistenza è condizionata dai frequenti accessi ai centri specialistici, ogni 2-3 settimane, per soddisfare il fabbisogno trasfusionale. Nello studio internazionale BELIEVE, pubblicato di recente sul “New England Journal of Medicine”, che ha coinvolto 336 soggetti affetti da talassemia, il 70% dei pazienti trattati con luspatercept ha ottenuto una riduzione del 33% del fabbisogno trasfusionale in un intervallo di tempo di 12 settimane. Questi risultati hanno condotto all’approvazione della molecola da parte dell’agenzia regolatoria europea a giugno 2020: si stima, nella pratica clinica quotidiana, una riduzione di oltre il 30% del fabbisogno trasfusionale. È immediato l’effetto sulla qualità di vita con meno accessi ospedalieri, quindi più libertà e normalità. Inoltre la nuova terapia, quando si dimostra efficace, consente di ridurre l’accumulo di ferro dovuto alle trasfusioni, che può danneggiare organi vitali come cuore, fegato e pancreas, e le possibili complicanze legate agli effetti collaterali dei farmaci ferrochelanti, assunti quotidianamente proprio per eliminare il ferro in eccesso.

«La trasfusione di sangue è la terapia d’elezione per i pazienti affetti dalle forme più gravi di Beta-talassemia, malattia ematologica ereditaria, causata da un difetto di produzione delle catene globiniche, che costituiscono la struttura dell’emoglobina, la proteina responsabile del trasporto di ossigeno in tutto l’organismo», spiega Gian Luca Forni, Direttore Ematologia Centro di Microcitemia e Anemie Congenite, Ospedali Galliera di Genova, che ha partecipato allo studio BELIEVE. «L’Italia è uno dei Paesi al mondo più colpiti e sono circa 3 milioni i portatori sani del difetto talassemico. È pari al 25% la probabilità che nasca un bambino malato da due portatori sani. La vita dei pazienti con Beta-talassemia trasfusione dipendente resta ancora oggi un “percorso a ostacoli”, caratterizzato da appuntamenti ogni 2-3 settimane con il centro di cura, a cui si aggiungono le visite di controllo. Poiché il nostro organismo non è in grado di eliminare il ferro in eccesso portato dalle trasfusioni, questi pazienti sono costretti ad assumere ogni giorno una terapia ferrochelante, per evitare i danni causati dall’accumulo di ferro, a livello cardiaco, endocrino, epatico o pancreatico».

Fino agli anni Sessanta, le persone affette da Beta-talassemia major, la forma più grave, non sopravvivevano oltre i 10/15 anni. «Oggi, con la combinazione della terapia trasfusionale e ferrochelante, la loro aspettativa di vita è decisamente migliorata, tanto che si parla di “prognosi aperta”», conferma Roberto Lisi, Responsabile Unità Operativa Dipartimentale Talassemia ARNAS Garibaldi di Catania. «Un obiettivo un tempo impensabile, raggiunto grazie alla modifica dell’apporto trasfusionale, che è stato ridotto, e ai nuovi farmaci chelanti orali: oggi siamo in grado di controllare sia la patologia che le comorbidità. Pur avendo una migliore aspettativa di vita rispetto al passato, questi pazienti rimangono strettamente condizionati dal frequente fabbisogno trasfusionale e dai continui esami strumentali necessari per il monitoraggio della malattia. Luspatercept, che riduce la grave anemia e consente la produzione di globuli rossi maturi, cambia radicalmente le prospettive. La pratica clinica quotidiana ha confermato le evidenze dello studio registrativo BELIEVE. La riduzione del fabbisogno trasfusionale determina una serie di conseguenze positive a cascata. Meno sangue trasfuso si traduce in una minore quantità di ferro accumulata e in una riduzione rapida della ferritina sierica, la proteina che svolge la funzione di deposito del ferro. Diminuire il numero di trasfusioni significa ridurre anche le possibili complicanze legate agli effetti collaterali dei farmaci ferrochelanti e i rischi determinati dalle continue stimolazioni del sistema immunitario».

«Con oltre 25 anni di esperienza nelle malattie ematologiche abbiamo ottenuto progressi che hanno migliorato significativamente la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti», spiega Cosimo Paga, Medical Director, Bristol Myers Squibb. «Luspatercept è stato approvato anche nel trattamento delle sindromi mielodisplastiche, neoplasie del sangue tipiche del paziente anziano. Il nostro impegno su malattie gravi come la Beta-talassemia è testimoniato dall’attivazione di programmi compassionevoli che, grazie alla fornitura gratuita dei farmaci nel periodo di negoziazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco, consentono di accedere alle terapie prima della commercializzazione. In questo modo abbiamo reso disponibile luspatercept per 159 pazienti a partire da novembre 2020».

«La Beta-talassemia lega la persona al centro di cura: in media vengono trasfuse 2-3 unità di sangue ad ogni seduta in ospedale, che dura fino a 5 ore», evidenzia Raffaele Vindigni, Presidente United Onlus (Federazione Nazionale delle Associazioni, Talassemia, Drepanocitosi e Anemie Rare). «Tutto questo influisce sulla quotidianità e determina un’invalidità che si ripercuote sulla qualità di vita e sullo stato psicologico dei pazienti e dei familiari: da qui l’importanza della disponibilità di una terapia innovativa come luspatercept. Vi sono però ancora discrepanze a livello regionale nell’accesso al nuovo farmaco, dovute a ritardi burocratici che vanno superati quanto prima. Inoltre, nel 2017, tramite un apposito dispositivo di legge, è stata istituita la Rete Italiana della Talassemia e delle Emoglobinopatie. Manca ancora il decreto attuativo per mettere in sicurezza la Rete, consentendole di continuare l’opera svolta in questi anni di diagnosi, cura, formazione e prevenzione. Non bisogna pensare alla talassemia limitandosi all’idea che sia sufficiente ricevere la sacca di sangue, perché la patologia richiede un’assistenza costante ed esami strumentali da eseguire a intervalli definiti. Per questo servono protocolli uniformi su tutto il territorio. La definizione delle funzioni della Rete attraverso il decreto attuativo può inoltre garantire stabilità ai singoli centri. Questo provvedimento sarà utile anche per valutare le esigenze trasfusionali delle varie aree, così da segnalare difficoltà e sopperire alle carenze stagionali che, per le persone che hanno bisogno costante di sangue, rappresentano un problema rilevante».

La Sicilia è virtuosa da questo punto di vista perché, fin dal 1984, ha attivato il Registro Siciliano Talassemia ed Emoglobinopatie (RESTE), essendo una delle Regioni più colpite dalla malattia. Infatti nell’isola sono 1167 i pazienti con beta talassemia major. «Dal 2011 è operativa anche la Rete Regionale della Talassemia e delle Emoglobinopatie (R.R.T.E.), che consente di gestire la malattia in modo uniforme sul territorio», conclude il dottor Lisi. «Durante la pandemia abbiamo affrontato numerose difficoltà nel reperire il sangue, con un grande sforzo delle associazioni e dei centri trasfusionali, per limitare le possibili conseguenze negative per i pazienti. Inoltre, è forte il coordinamento con il centro regionale sangue, perché, grazie al Registro che fornisce dati certi sul numero di pazienti che necessitano di trasfusioni, sappiamo esattamente quante unità di sangue servono in media nell’isola ogni anno».

di Paola Trombetta

Con la terapia genica, 90% di guarigioni

Guarigione definitiva nel 90% dei casi grazie alla terapia genica: la Beta talassemia potrebbe essere sconfitta a breve con l’utilizzo delle più moderne tecniche di ricerca in fase avanzata di applicazione. Il professor Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità e uno dei massimi esperti del settore lo ha ribadito durante la visita a Palermo al Campus di Ematologia su invito dell’Associazione Piera Cutino, in occasione della Giornata dedicata alla Talassemia (8 maggio). «Oggi abbiamo due trattamenti potenzialmente curativi: la terapia genica classicamente intesa, con l’addizione di una o più coppie normali del gene difettoso alterato che codifica per le catene beta dell’emoglobina. Il secondo prevede l’editing del genoma: si va ad agire selettivamente e si modifica un gene che permette la riattivazione delle catene gamma dell’emoglobina e quindi la produzione di quel tipo di emoglobina che connota la vita fetale. Grazie a questi due approcci ci sono probabilità di guarigione definitiva nell’ordine del 90%.». In Italia sono settemila le persone colpite da Beta talassemia, un numero destinato ad aumentare, con oltre tre milioni di portatori sani. L’Associazione Piera Cutino con United Onlus (Federazione Italiana delle Thalassemie, Emoglobinopatie Rare e Drepanocitosi) e Fasted Sicilia, ha organizzato a Palermo, dove opera un centro riconosciuto a livello internazionale, un convegno di grande spessore scientifico, ma anche di sensibilizzazione nei confronti di una patologia di cui si parla ancora troppo poco. L’Associazione Piera Cutino ha promosso, per tutto il mese di maggio, una serie di webinar, in diretta streaming sul profilo Facebook, per diffondere informazione ed educazione sulla patologia. Il prossimo sarà venerdì 13 maggio dalle 18.30 alle 19 con l’intervento del professor Franco Locatelli proprio sulla terapia genica, considerata non più una frontiera da raggiungere, ma una pratica clinica da applicare nel più breve tempo possibile.  P.T.

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