“Io non sono il mio tumore”, la prima Campagna per il diritto all’oblio oncologico

A una donna, operata da diversi anni di tumore alla tiroide, è stata impedita l’adozione di un figlio. A una giovane coppia di sposi, il cui marito era stato operato di tumore al testicolo, è stato rifiutato il mutuo per acquistare la prima casa. Sono tanti ancora oggi i casi di discriminazione per chi ha avuto un tumore, magari anni addietro, anche se ne è uscito. Quasi un milione di persone in Italia sono guarite, ma per la burocrazia sono ancora malate e rischiano discriminazioni nell’accesso a servizi come la richiesta di mutui, la stipula di assicurazioni sulla vita, l’assunzione in un posto di lavoro e l’adozione di un figlio. Sul modello di Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo, Fondazione AIOM, in vista della Giornata Mondiale contro il Cancro (4 febbraio), lancia la prima Campagna nazionale “Io non sono il mio tumore” che prevede una raccolta firme e una guida sul Diritto all’oblio oncologico. L’obiettivo è ottenere una legge a tutela delle persone che hanno avuto una neoplasia e ora, proprio per questo, rischiano discriminazioni sociali. Oggi, infatti, per richiedere certi servizi, è necessario dichiarare se si è avuto il cancro, anche se si è ormai guariti. A sostegno dell’iniziativa, sono stati realizzati la prima guida sul Diritto all’oblio oncologico, un portale (dirittoallobliotumori.org) e una campagna social, per promuovere la raccolta firme. Lo scopo è raggiungere 100 mila adesioni, che verranno inviate al Presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge. Tutti potranno contribuire lasciando il proprio nome, sia online che nei reparti di oncologia e nelle piazze: pazienti, caregiver, familiari, cittadini. La guida è scaricabile dal sito e sarà distribuita negli ospedali, per informare chi ancora non è a conoscenza di questa opportunità e invitarlo ad agire perché le cose possano cambiare. Il portale offre inoltre ai pazienti la possibilità di raccontare la propria storia, per mettere in luce il problema e condividere le esperienze.

«Le persone guarite dal cancro devono essere libere di guardare al futuro senza convivere con l’ombra della malattia», afferma Giordano Beretta, presidente di Fondazione AIOM. «Oggi sono 3,6 milioni i cittadini che vivono con una diagnosi di tumore: il 27% di loro, circa un milione, è guarito. C’è una forte discriminazione sociale nei loro confronti, che deve essere combattuta. Come Fondazione AIOM abbiamo deciso di provare a cambiare le cose: con la campagna vogliamo sensibilizzare le istituzioni e il mondo politico su questa realtà. È una battaglia di civiltà che tutti dobbiamo combattere uniti. La legge permetterebbe di non essere più considerati pazienti dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo 10 se ci si è ammalati in età adulta. Oggi, grazie all’innovazione dei percorsi terapeutici, molti tumori vengono curati e altri possono diventare malattie croniche: per questa ragione i pazienti che vivono a molti anni di distanza da una diagnosi sono aumentati e così anche le persone che trarranno benefici da questo provvedimento. Ogni neoplasia richiede un tempo diverso perché chi ne soffre sia definito “guarito”: per il cancro della tiroide sono necessari meno di 5 anni dalla conclusione delle cure, per il melanoma e il tumore del colon meno di 10. Molti linfomi, mielomi e leucemie e i tumori della vescica e del rene richiedono 15 anni. Per essere “guariti” dai tumori della mammella e della prostata ne servono fino a 20. Il riconoscimento del diritto rappresenta la condizione essenziale per il ritorno a una vita dignitosa ed è necessario per abbattere il pregiudizio che “cancro significa morte”. Negli ultimi due anni molti Paesi europei hanno emanato una legge che garantisce agli ex-pazienti il diritto a non essere rappresentati dalla malattia. L’Italia deve assolutamente seguire questo esempio».

«La situazione difficile che molti ex-pazienti si trovano a vivere non è più accettabile», puntualizza Antonella Campana, vicepresidente di Fondazione AIOM e membro del coordinamento volontari di IncontraDonna. «È necessario muoversi verso un futuro libero dallo stigma della malattia oncologica. La tutela dei diritti di questi pazienti passa anche attraverso il riconoscimento giuridico di una guarigione dal cancro».
«Noi pazienti sappiamo cosa significhi essere trattati da persone fragili, perennemente malate», dichiara Monica Forchetta, membro del Cda di Fondazione AIOM e presidente APAIM, Associazione Pazienti Italia Melanoma. «La neoplasia spesso diventa un’etichetta, anche quando non c’è più. Oggi, però, le persone guarite sono così tante che è necessario rendersi conto dell’entità del problema e intervenire per risolverlo».
«Riteniamo si tratti di una grande sfida etica e sociale, un cambio di paradigma che parte dai pazienti assieme alla cittadinanza, la comunità scientifica e le Istituzioni», afferma Ornella Campanella, membro del Cda di Fondazione AIOM e presidente dell’associazione aBRCAdabra. «Siamo sicuri che la raccolta firme metterà in luce il bisogno degli ex-pazienti di venire riconosciuti dalla società come persone sane. Vogliamo diffondere questo messaggio: anche se sei o sei stato paziente oncologico, tu non sei il tuo tumore. Questo dovrebbe mettere anche la parola fine all’equazione “cancro uguale male incurabile”. Per alcune neoplasie sappiamo non essere ancora così, ma per molte è ormai realtà e quindi dobbiamo declinare le evidenze scientifiche nella vita di tutti i giorni e porre fine alle iniquità ancora esistenti».
«Chiediamo perciò che tutte le associazioni, gli oncologi, i familiari, i caregiver, i medici di famiglia, gli infermieri e i cittadini si mobilitino con noi per il raggiungimento dell’obiettivo», conclude Lucia Belli, membro del Cda di Fondazione AIOM. «Siamo sicuri che troveremo anche le Istituzioni dalla nostra parte. Il paziente, una volta terminate le terapie, necessita di essere riconosciuto come guarito: è anche il Codice Deontologico degli infermieri a prevederlo e noi, in quanto tali, abbiamo il dovere di valorizzare questo aspetto e ci impegneremo in questa direzione».

di Paola Trombetta

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