Sole e raggi UV fanno bene o male al Covid?

Oltre alle preoccupazioni legate alla scorretta esposizione, ancora ci si chiede se sole e raggi ultravioletti, anche quelli artificiali per la cura di specifiche malattie dermatologiche, possano aumentare il rischio di contrarre il Covid 19 o aggravare la malattia. A rispondere a questo quesito ha pensato uno studio italiano di SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmissibili) che arriva a conclusioni rassicuranti: i raggi UV inattiverebbero il Sars CoV-2, insomma ne spegnerebbero l’aggressività.
«La luce solare – spiega Giuseppe Monfrecola, esperto di Fotodermatologia dell’Università Federico II di Napoli, fra gli autori dello studio – è in grado di influenzare a livello sistemico sia la risposta immunitaria innata, che potremmo definire “forza di primo intervento”, sia quella acquisita, più mirata e specifica. Insomma, esponendoci al sole “moduliamo” il nostro sistema immunitario, non solo cutaneo, ma anche a livello generale. E questo avviene sia quando ci esponiamo al sole, sia alla luce delle lampade per fototerapia». In altre parole significa che «lo stimolo degli UV, solari o artificiali, contribuisce a contrastare l’infezione grazie, non solo all’attivazione di particolari recettori, chiamati TLRs, ma anche producendo vitamina D che, fra i suoi tanti effetti, è alla base della produzione dei cosiddetti peptidi antimicrobici. Mentre per quanto riguarda l’immunità acquisita, gli UV modificano la liberazione delle citochine pro infiammatorie, alla base della tempesta infiammatoria all’origine degli effetti più importanti di Covid».

I dati emersi dallo studio tranquillizzano anche in merito ai raggi emessi da fototerapie per malattie dermatologiche quali psoriasi, vitiligine, dermatite atopica. «I trattamenti per queste patologie della pelle possono essere continuati – chiarisce Gabriella Fabbrocini, consigliere SIDeMaST e tra le autrici della ricerca – ovviamente, assieme al rispetto rigoroso di tutte le norme di igiene e prevenzione suggerite dalle Autorità Sanitarie; considerando che ormai ci troviamo in estate, occorre ricordare che quando ci si espone ai raggi solari bisogna farlo gradatamente e sempre con una protezione adeguata, più che mai necessaria in questi casi. Per questo motivo va sempre consultato il dermatologo che, sulla base del fototipo e delle eventuali problematiche dermatologiche, saprà consigliare a tutti come trarre dal sole soltanto i benefici, senza rischi».

Sono noti i benefici che la psoriasi ricava dall’esposizione al sole (fatto salvo per  una piccola porzione di pazienti in cui la malattia può anche aggravarsi), ma quale protezione usare?: «Ai pazienti con psoriasi –precisa Ketty Peris, Presidente SIDeMaST – va consigliata una crema solare a protezione media, ad esempio con un SF 30 che, applicata in maniera uniforme, garantisce la penetrazione dei raggi UVB nelle cute e impedisce le scottature, fattore di rischio importante per lo sviluppo dei tumori cutanei».

In caso di dermatite atopica, l’estate ha i suoi lati buoni perché sole e acqua di mare possono attenuare sintomi o le lesioni cutanee tipiche di questa problematica. Infatti il sole non solo rallenta le reazioni del sistema immunitario e regolarizza il ricambio delle cellule, ma svolge anche una azione “disinfettante” nei confronti dei batteri presenti sulla pelle, come lo stafilococco aureo, tra i responsabili della malattia, riducendo così lo stato infiammatorio. «Meglio scegliere località dal clima secco – consigliano gli esperti – fare attenzione al sudore, che tende a peggiorare le condizioni della pelle, fare bagni nel mare, ma risciacquarsi subito dopo sotto la doccia. Al mare migliorano la cute e la dermatite, ma è indispensabile utilizzare alcune precauzioni. Infatti temperature elevate, la presenza di sabbia o del sale sulla pelle possono acutizzare il prurito che è uno dei sintomi più caratterizzanti della malattia. Allora l’indicazione è di esporsi al sole nelle ore meno calde della giornata, con un’adeguata protezione solare e successivamente garantire alla pelle una profonda idratazione, con detergenti e formulazioni in grado di favorire il ripristino della barriera cutanea.

Una pelle affetta da vitiligine manca di melanina, “fattore” fondamentale per proteggersi da scottature. In assenza di questa sostanza non solo le macchie bianche sono molto sensibili, ma si evidenziano ulteriormente per il contrasto tra pelle bianca e pelle abbronzata. Non è necessario rinunciare al sole, se si adottano le dovute precauzioni: applicare creme solari protettive, specifiche per le pelli con la vitiligine, stendendole almeno ogni 2-3 ore e subito dopo il bagno, compresa la pelle vicina alle macchie bianche, idratare a fondo la pelle dopo i bagni di sole. Soprattutto, sospendere l’esposizione al sole (sempre nelle ore più calde della giornata) in caso di nuove macchie o di estensione di quelle esistenti.

Qualche limitazione o controindicazione al sole? Meglio evitarlo in presenza della rosacea in quanto aumenta la vasodilatazione, alla base del problema, peggiorandone i sintomi. Nel caso si vada al mare è raccomandato dagli esperti applicare filtri solari ad alta protezione come afferma anche il sito dell’Istituto Superiore di Sanità, e in caso di rosacea con eritema fisso o transitorio, esporsi con moderazione, rinfrescando spesso la pelle del viso (acqua fresca, ghiaccio, ventagli, per prevenire soprattutto i danni dei raggi infrarossi, ancora più nocivi rispetto agli ultravioletti perché scaldano e vasodilatano. Se invece sono presenti pustole, il sole darà maggiore beneficio in quanto provvede a “ripulire” la cute. In sintesi, se si soffre di rosacea si può prendere il sole senza esagerare, ricordandosi di proteggere la pelle ed evitando di esporsi nelle ore più calde. Un’indicazione validata, in quanto recenti dati confermano che in epoca di pandemia anche la cura della rosacea non deve essere trascurata.

di Francesca Morelli

Rosacea: non va mai trascurata, neanche in questi tempi di pandemia

Arrossamento transitorio o persistente, soprattutto su guance, naso e viso, lesioni infiammatorie che “imbarazzano” per le sue sedi ben visibili. E poi ancora pizzicore, bruciore, aumentata sensibilità della pelle. Sono queste le manifestazioni tipiche della rosacea, che talvolta possono coinvolgere anche gli occhi, arrossati e afflitti da una sensazione di secchezza e prurito. È una problematica unisex, riguarda maschi e femmine, spesso dopo i 30 anni, interessando 415 milioni di persone nel mondo, 3 milioni in Italia pari a circa il 7-8% della popolazione. «Le cause di insorgenza della rosacea – spiega Giuseppe Micali, Direttore della Sezione di Dermatologia e Venereologia, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Università di Catania – non sono ancora del tutto note, mentre ben più chiari sono i suoi fattori scatenanti: consumo di cibi piccanti o bevande alcoliche, stress emotivo, esposizione solare, bagni caldi. E gli acari, specificatamente del genere Demodex: presenti sulla pelle di tutti, di norma innocui, in chi soffre di rosacea si ritrovano in quantità elevate e possono rappresentare un problema».

Una situazione su cui pesa molto la trascuratezza, ovvero non effettuare gli adeguati controlli periodici in chi è portatore di malattia, non ricevere la diagnosi (precoce) per mancate visite specialistiche, non seguire correttamente il trattamento prescritto. Aspetti trascurati durante la pandemia da Covid, con sensibili esiti nell’evoluzione delle manifestazioni della rosacea, come dimostra una ricerca condotta in Canada e Germania da Galderma, secondo cui, da inizio pandemia, solo il 33% delle persone con rosacea è andata dal medico/dermatologo e solo l’8% ha ricevuto un video-consulto. Visite attualmente ancora più importanti, perché l’uso della mascherina per difendersi da Covid potrebbe aver contributo a un peggioramento dei sintomi in pazienti non in trattamento e della qualità di vita anche sotto il profilo psicologico. Lo evidenzia uno studio multicentrico italiano, pubblicato su Dermatologic Therapy Journal, e sebbene sia stato condotto su piccoli numeri (36 pazienti) mette in allerta medici, specialisti e pazienti. «Lo studio – precisa Giovanni Damiani, ricercatore all’Università degli Studi di Milano e Direttore dello Young Dermatologists Italian Network (YDIN) – mostra che la mascherina mantenuta aderente sul viso per tutta la giornata, protettiva per il SARS-CoV-2, è dannosa per le dermatosi infiammatorie del viso, come la rosacea. Il monitoraggio dell’andamento della patologia a 0 e 6 settimane ha fatto rilevare nei pazienti durante il primo lockdown un aumento di pustole e dell’intensità dell’eritema, ovvero un’amplificazione generale dell’infiammazione della pelle». Per imparare a conoscere meglio la rosacea o a prepararsi per la visita con il dermatologo, è disponibile una guida personalizzata scaricabile sul sito www.facciaafacciaconlarosacea.it, che, attraverso una serie di domande, accompagna nella definizione di segni e sintomi, trattamenti utilizzati, impatto emotivo della rosacea. Una volta completato il questionario, viene generata una guida per la visita dermatologica personalizzata in grado di facilitare un dialogo aperto medico-paziente.  F.M.

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