“Tumore ovarico. Manteniamoci informate!” anche con eventi online

«Far incontrare le donne e le loro storie, proporre momenti di aggregazione utili e piacevoli, consapevoli che la cura passa anche dalla condivisione. Per noi è stato impossibile stare lontane dalle nostre pazienti, anche in tempi di distanziamento obbligato. Già nelle prime settimane di pandemia abbiamo introdotto i nostri servizi di ascolto gratuiti: “chiacchiere solidali” gestite dallo staff e sportello di supporto psicologico offerto da professionisti tramite videochiamate. Nei mesi di lockdown abbiamo scoperto nuovi modi di stare insieme attraverso appuntamenti social: da qui è nata la piattaforma “Loto Community”, il nostro social network, dove i membri possono partecipare alle dirette streaming e rivedere gli incontri con medici e nutrizionisti, corsi di cucina e di meditazione guidata, e persino di make-up. Adesso la nostra comunità ha uno strumento in più per incontrarsi e condividere contenuti ed esperienze. Contiamo di esserci lasciati il peggio alle spalle: riprenderemo a incontrarci di persona, ma faremo tesoro di questi nuovi strumenti per sentirci parte attiva di un grande gruppo che ascolta, informa, supporta, risponde». Con la sua forte volontà e testimonianza, Sandra Balboni, che convive da 10 anni con un tumore all’ovaio, oggi Presidente Nazionale LOTO Onlus, ha voluto presentare l’approdo nel Lazio della Campagna nazionale “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!” che era stata lanciata un anno fa (vedi articolo al link: https://www.donnainsalute.it/2020/07/al-via-la-campagna-tumore-ovarico-manteniamoci-informate/ ).

La Campagna, promossa da Fondazione AIOM, ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra, e sponsorizzata da GSK, anche nella seconda edizione si pone l’obiettivo di promuovere l’informazione sul tumore ovarico mettendo in luce le esigenze delle pazienti e mantenendo alta l’attenzione sulla diagnosi precoce, sulle innovazioni terapeutiche che stanno migliorando sopravvivenza e qualità di vita e sull’importanza dell’aderenza alle terapie. E lo fa attraverso eventi territoriali online dedicati alle donne dove gli specialisti rispondono alle domande più frequenti, come pure sul sito: www.manteniamociinformate.it.

«La campagna è stata fortemente voluta da Fondazione AIOM insieme alle Associazioni pazienti», afferma Stefania Gori, Presidente Fondazione AIOM e Direttore Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, Negrar. «Nasce dalla necessità che le donne siano informate su questa malattia insidiosa, per la quale non è possibile fare una diagnosi precoce con uno screening, e sappiano quali sono i Centri specialistici di riferimento per curarla». Nel Lazio è il Centro di eccellenza Policlinico Gemelli IRCCS di Roma il punto di riferimento per le donne affette da tumore ovarico. L’Associazione LOTO Lazio è nata di recente, a febbraio 2021, proprio presso il Policlinico Gemelli. «In questi pochi mesi abbiamo dato il via a un’attenta analisi della realtà con la raccolta dei bisogni segnalati dalle pazienti nei loro percorsi di cura per farci promotori di iniziative per risolvere le eventuali criticità e dare risposte», conferma Paola Lombardi, presidente LOTO Onlus Lazio. «Stiamo cercando di attuare un percorso di assistenza dedicato all’oncofertilità per le donne che vengono curate per tumore ovarico in età fertile. Abbiamo anche accolto diversi suggerimenti, come quello di aprire uno sportello di orientamento e sostegno per i caregiver e l’istituzione di un ambulatorio per la sorveglianza del linfedema. Al momento sono in preparazione opuscoli informativi cartacei e consulenze specialistiche offerte dal Centro. E abbiamo attivato un numero di telefono di assistenza, 388/0770145, al quale le donne potranno rivolgersi dal lunedì al venerdì dalle 16 alle 18 e una mail: insiemelazio@lotonlus.org».

L’informazione su questa neoplasia è fondamentale, perché al momento la clinica non dispone di screening specifici per il tumore dell’ovaio e lo scenario è in evoluzione: una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le donne di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia. «L’informazione è uno strumento che salva la vita», afferma Domenica Lorusso, Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia, Responsabile dell’Unità di Programmazione e Ricerca Clinica Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS di Roma e Referente Fondazione AIOM. «Diffondere cultura su questa patologia e suggerire i segnali da tenere in considerazione, seppur aspecifici, può fare la differenza. Inoltre, sapere che esistono in ogni Regione Centri di riferimento, specializzati nella cura e nella diagnosi di questo grave tumore e far sapere alle donne che il primo passo da fare è rivolgersi subito al Centro, è cruciale, perché sbagliare il primo approccio può essere fatale. L’informazione è importante anche per i continui aggiornamenti sulle terapie. Nell’ultimo decennio, la ricerca ha sviluppato trattamenti specifici, personalizzati come i PARP inibitori, farmaci orali da utilizzare in fase di mantenimento dopo la chemioterapia. Si tratta di farmaci ben tollerati, i cui effetti collaterali sono conosciuti e facilmente gestibili, prescritti in ospedale e attentamente monitorati, assunti a casa anche di sera che consentono il normale svolgimento della propria quotidianità. I PARP inibitori hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA e nuovi studi hanno dimostrato che possono essere utilizzati anche nelle pazienti senza mutazione BRCA, che fino a poco tempo fa avevano limitate alternative terapeutiche».

La difficoltà della diagnosi precoce

Essenziale anche il ruolo del medico di famiglia che non deve trascurare la donna che lamenta dolori di pancia, gonfiore addominale, senso di costipazione e deve indirizzarla per approfondimenti allo specialista. Inoltre, dopo la diagnosi, la donna entra in un preciso percorso diagnostico-terapeutico.
«Purtroppo al momento attuale la diagnosi precoce del tumore ovarico non si può fare: è un’utopia ed è anche il motivo per cui la maggior parte dei tumori ovarici viene scoperta tardivamente», afferma Giovanni Scambia, Direttore Unità di Ginecologia Oncologica, Professore Ordinario Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Direttore Scientifico Scienza e Ricerca, Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma. «È importante, invece, che la donna si sottoponga annualmente alla visita ginecologica, con un’ecografia pelvica trans vaginale, in grado di identificare un’eventuale patologia ovarica o uterina. Oggi abbiamo un’arma in più: quella di studiare l’eventuale familiarità delle donne per vedere se ci sono in famiglia casi di tumore ovarico o della mammella, monitorarle con attenzione perché l’unica prevenzione possibile è proprio identificare le famiglie a rischio e lavorare su quelle, intercettando un buon 20% di tumori ovarici. Il medico di famiglia ha un ruolo importante perché può intercettare i primi segnali di un sospetto tumore ovarico come i disturbi intestinali che perdurano nel tempo e che non vanno mai trascurati, raccomandare la visita ginecologica, indirizzare la donna a un centro di riferimento. Le tappe che seguono la diagnosi sono di tipo diagnostico-strumentale per approfondire la tipologia del tumore, la sua diffusione, il profilo molecolare, a cominciare dalla TAC e dalla Risonanza magnetica, l’ecografia pelvica, la valutazione dei marker molecolari. Se il tumore è operabile si interviene per eradicarlo con la chirurgia demolitiva, che è l’approccio principale, a cui segue la chemioterapia adiuvante. Quando il tumore non è operabile, perché troppo avanzato, si procede con la chemioterapia neoadiuvante che prelude all’intervento chirurgico. Seguono le terapie di mantenimento con farmaci antiangiogenici o PARP inibitori. Oggi abbiamo ottime chance di cura per le pazienti con recidiva, che può essere gestita in molti casi con successo. Il nostro Centro, dove vengono seguite circa un migliaio di pazienti all’anno, è organizzato come Unità Operativa Carcinoma Ovarico, dove la paziente viene presa in carico a 360 gradi da un team multidisciplinare, costituito da alcune figure chiave come il ginecologo chirurgo, l’oncologo medico, l’anatomopatologo, il radiologo, l’anestesista, il biologo molecolare, lo psicologo che condividono il caso clinico e avviano la paziente al migliore percorso di cura».

L’importanza del test genetico per individuare le mutazioni BRCA

Il test genetico, in caso di familiarità per tumore ovarico, è uno strumento preventivo importante perché permette di sapere se una donna è portatrice o meno della mutazione del gene BRCA e, in caso di malattia, attraverso le caratteristiche biologiche del tumore, permette di scegliere il percorso di cura più appropriato ed efficace.
«Il test genetico BRCA si fa con lo scopo di vedere se due geni, BRCA1 e BRCA2, sono mutati oppure no, cioè se presentano alterazioni del codice genetico rispetto alla forma normale», spiega Gennaro Daniele, Direttore Scientifico Clinical Trial Center e Coordinatore Programma Fase I, Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma. «Questo ci consente di capire se le proteine, prodotte da questi due geni, sono funzionanti oppure no. È un test molto importante, perché si è scoperto che le mutazioni a carico di questi due geni predispongono all’insorgenza di alcuni tumori, tra cui quello mammario e ovarico. Quando definiamo un’alterazione genetica germinale vuol dire che è ereditata dai genitori, presente in tutte le cellule dell’organismo, e predispone al rischio di sviluppare i tumori. Quando, invece, parliamo di alterazione somatica ci riferiamo a un’alterazione presente solo in alcune cellule del tumore. Il test germinale si fa con un’analisi del sangue; il test somatico con l’analisi molecolare del tessuto tumorale. È importante conoscere lo stato somatico, perché questa mutazione si associa a un’efficace risposta del tumore alla classe dei farmaci PARP inibitori. Altrettanto importante è il test germinale perché, se la mutazione è presente in tutte le cellule, lo sarà anche nel tumore; inoltre permette di individuare famiglie portatrici della mutazione a cui dobbiamo riservare una sorveglianza stretta per prevenire l’insorgenza di neoplasie, che di solito si verificano in giovane età e che possono portare a scegliere una profilassi chirurgica da valutare, in ambiente protetto e specializzato».
«L’accesso a questo test è stato ostacolato per anni negando alle donne non solo la conoscenza di questo importante fattore di rischio genetico, ma il ricorso alla profilassi preventiva mammaria o ovarica», puntualizza Ornella Campanella, Presidente Nazionale aBRCAdabra. «La nostra Associazione ha lavorato intensamente in questi anni per cambiare questa falsa cultura sul test, prima tra i medici poi tra le donne con numerose iniziative, convegni, incontri, eventi formativi rivolti agli specialisti e alla comunità per veicolare messaggi coerenti. Da allora non ci siamo mai fermati, abbiamo svolto molteplici attività con AIOM, con i genetisti, i chirurghi, i ginecologi e con diverse Società scientifiche, come SIGO, creando una rete di persone, uomini e donne, intere famiglie portatrici della mutazione BRCA. Questa mutazione è molto più diffusa di quanto si pensi: una persona su 400 ne è portatrice. In occasione della Giornata nazionale del tumore ovarico, celebrata l’8 maggio, abbiamo cercato di rinforzare il messaggio della necessità di accedere al test genetico e di supportare le donne e gli uomini con mutazione, portando avanti altre campagne di divulgazione. Oggi finalmente il test genetico BRCA ha un suo ruolo e un suo valore altamente predittivo e i pazienti “mutati” hanno accesso a farmaci innovativi che cambiano in modo significativo la prognosi. Dopo il trattamento però si pone la preoccupazione delle pazienti per il follow-up, ovvero il periodo di osservazione, che consiste di un certo numero di visite e di indagini strumentali da eseguire.
«Un argomento molto dibattuto è proprio quello che riguarda il follow-up delle pazienti libere da malattia dopo 5 anni dalla diagnosi», aggiunge Anna Fagotti, Direttore UOC Carcinoma Ovarico, Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma. «Numerose sono le Linee guida internazionali, ma c’è poco consenso della comunità scientifica. Se facciamo riferimento alle Linee guida americane, il controllo va fatto una volta all’anno. La scelta può sembrare molto impopolare perché le pazienti possono sentirsi abbandonate, ma il senso di questo orientamento è quello di consentire alle donne di avere una vita il più normale possibile, lontana dalla malattia. In base alle Linee guida americane sarebbe indicata solo la TAC in relazione ai sintomi, oltre alla visita clinica, all’esame dei marcatori e/o all’ecografia addominale e pelvica. Molto dipende, nella programmazione del follow-up, dallo stadio di partenza della malattia, dal profilo molecolare del tumore che può essere associato a una mutazione BRCA e, quindi, presentare un rischio per la paziente di sviluppare anche altri tumori. Il tumore ovarico non è uno solo e oggi si avverte la necessità di personalizzare anche i controlli nel modo più flessibile possibile».

Il supporto psicologico è fondamentale

Sostenere la paziente psicologicamente è sempre fondamentale perché l’impatto del tumore ovarico sulla salute mentale può essere devastante. «Ricevere una diagnosi di tumore ovarico è drammatico, ma la malattia non deve paralizzare la vita delle pazienti», sottolinea Daniela Chieffo, Responsabile Unità di Psicologia Clinica, Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma. «È importante che non si verifichi una frattura emotiva tra la donna e il contesto relazionale che la circonda, in particolare con il partner, i figli e le persone più vicine. Bisogna favorire quanto più possibile la ripresa psicologica e aprire un dialogo con le persone, soprattutto i familiari, perché spesso accade che le pazienti, per proteggere la famiglia, si chiudano in sé stesse, tendendo a introiettare le proprie angosce e il dolore che si accompagna alla malattia che, non essendo più condivisi, si amplificano a dismisura. La relazione con gli altri, il dialogo e la condivisione sono tappe fondamentali del processo di cura e di guarigione. La diagnosi di tumore ovarico non solo comporta il rischio di isolamento, fisico e psicologico, ma porta a un profondo cambiamento del modo di percepire sé stessa come donna e il proprio corpo. In tal senso, è importante che la paziente continui a sentirsi donna, salvaguardando anche la componente estetica, più intima e femminile. Nel nostro Centro portiamo avanti specifici programmi attraverso percorsi di riabilitazione psicologica, soprattutto servendoci dell’arte, della fotografia, della musica e del cinema che alleggeriscono il peso mentale della malattia e favoriscono lo scambio il dialogo».

di Paola Trombetta

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