La cantautrice Grazia Di Michele: «Le donne, delicate nell’animo e forti nelle avversità»

“Sono di vetro, ma non sono fragili. Affrontano il vento a viso aperto anche nella tempesta, si raccolgono i capelli in fretta e camminano a testa alta anche dopo un dolore”. Sono le donne “delicate nell’animo e forti nelle avversità” raccontate in Anime di vetro, il nuovo singolo (dopo Segnali Universali) di Rossana Casale, Grazia Di Michele e Mariella Nava, tre nomi di prestigio della musica cantautorale al femminile, uscito per l’8 marzo e prodotto dalle stesse artiste che vuole raccontare l’universo femminile nella sua complessità e bellezza, e anticipa un album di prossima pubblicazione. Per capire le donne e imparare ad amarle “senza trucco”, in cui è possibile riconoscersi. Di questo e altro abbiamo parlato con Grazia Di Michele (Roma, 9 ottobre 1955): trovarle una definizione ci costringerebbe all’incompletezza, indaffarata nelle sue mille attività come solo le donne sanno essere. Grazia Di Michele, oltre che splendida interprete e artista, è anche musicoterapeuta, scrittrice, conduttrice radiofonica, insegnante di musica, coach di talent televisivi e gira tutta l’Italia con seminari e masterclass di canto, curatrice di rassegne cantautorali e direttrice artistica presso il Teatro Golden di Roma. E’ anche promotrice di giovani talenti con il progetto Promesse, album uscito nella primavera 2017 contenente 19 tracce, cantate da alcuni dei suoi migliori allievi che segue nelle scuole d’Italia dove collabora.

Avete dato vita a un perfetto “triangolo” musicale! Cosa riunisce tre Signore della musica?
«La stima, una grande amicizia di lunga data, gli stessi valori, il fatto di sentire forte una complicità femminile che ci ha portate a collaborare più volte in questi anni. Quello che scriviamo insieme è in fondo quello che ognuna a modo suo ha sempre fatto, una ricerca interiore e attenta all’universo femminile dal nostro punto di vista. Per capire e imparare ad amare le donne, raccontando una fragilità che diventa forza. Una fragilità da non sottovalutare, poiché il mondo è pieno di donne che hanno cambiato e cambiano il mondo con la loro energia, che è coraggio e creatività».

Cantautrici è anche il nome dato a un vostro progetto, che ha come fine quello di incentivare la musica d’autore femminile.
«Io, Rossana e Mariella ci siamo messe in testa di aiutare giovani cantautrici che hanno tanto talento.  L’intento è quello di creare un vero laboratorio per una Scuola italiana della canzone d’autrice. Uno spazio creativo e di condivisione a cui hanno già aderito 20 artiste. Sono pochissime le donne che si raccontano o raccontano altre donne, mentre ci sono tantissimi uomini che parlano di donne. Intendiamoci il cantautorato maschile è meraviglioso, poetico, ma ne esiste anche uno al femminile che è sommerso e deve emergere perché racconta un’altra storia. Ogni tanto ristabilire il punto di vista delle donne fa bene, a noi e agli uomini».

Per le donne è più difficile affermarsi?
«Sul palco salgono donne straordinarie, ma sono una rilevante minoranza. Sono poche nel settore, come attestano i dati, ma si impongono con la forza dei loro racconti e contribuiscono ad elevare la qualità del panorama musicale italiano. C’è un’oggettiva difficoltà di ingresso. Le donne fanno più fatica ovunque. Dall’economia alla cultura, il mondo della musica non fa eccezione. Le ragioni? Il discorso è complicato, anche se può essere sufficiente ridurre la risposta a un intreccio di componenti culturali, sociali e stereotipi ben noti. E poi, c’è il discorso dei “piani alti’: gli uomini occupano i posti chiave nelle case discografiche, nelle produzioni musicali, nei contesti televisivi importanti: in Italia c’è una sola produttrice musicale».

Anche la musica ha fortemente condizionato gli stereotipi di genere
«Assolutamente sì. Se è vero che le immagini sono state messe al centro della discussione femminista, altrettanto non si può dire dei messaggi trasmessi attraverso i testi delle canzoni. Si dice “sono solo canzonette”. Le parole non sono mai “solo parole”. La musica gioca un ruolo determinante decretando modelli di comportamento maschili e femminili, depositandosi in quella cornice di luoghi comuni che rivela, tra le altre cose, una cultura ancora sessista. Per esempio, le musiciste che fanno rock sono necessariamente “arrabbiate”. Quelle che fanno folk sono “sensibili”. Sembra che si debba per forza venire incasellati da qualche parte».

Sei salita sul palco di Sanremo quattro volte. Un commento sul Festival di quest’anno?
«L’ironia a ruota libera ed emozioni forti con Ornella Vanoni, ospite del gran finale del Festival. Quando sale una così sul palco, il resto scompare. Straordinaria come artista e come donna. A 86 anni pubblica un nuovo album di inediti, il 50°, e porta dentro l’anima una nuova gioia. Personalmente ne serbo un ricordo prezioso. Quando vivevo a Milano, abitavamo di fronte e andavo molto spesso da lei con la mia chitarra nella sua bellissima casa. Alcuni brani nascono dalle nostre chiacchierate, squarci di vita e di sentimento, di sussurri e passioni, le emozioni vissute, l’instancabile dialogo con noi stesse. Buonanotte piccolina (Ninna Nanna Per Me) esprime per esempio la tenerezza che una donna ha per sé stessa, quando impara a volersi bene».

Hai dedicato anche due canzoni a tuo figlio Emanuele nato nel 1993…
«In realtà molte di più! Mi mettevo la sera vicino a lui quando si doveva addormentare, a volte imbracciando anche la chitarra e nascevano le parole. Oggi la sera ci sfidiamo a scacchi!».

Sorprendi per le tantissime attività in cui sei impegnata, da quella primaria di cantautrice, a organizzatrice di eventi, scrittrice, giornalista, sponsor di cantautrici femminili
«Dappertutto gira la musica, l’ho ficcata dentro anche alla mia tesi di laurea in Giurisprudenza, Diritto di Famiglia, conseguita all’età di 57 anni, sull’importanza della cura del “paesaggio sonoro” nei luoghi dove vivono i minori. Negli anni ho realizzato che vivere in costante ricerca di una connessione con sé stessi e con gli altri può essere difficile, ma ricercarsi, trovarsi e avvicinarsi agli altri usando la musica è qualcosa di unico, a cui non rinuncerei mai».

L’incubatrice sonora per neonati prematuri è stato un tema della tua tesi di laurea, un’idea poi diventata realtà, attualmente in sperimentazione in alcuni ospedali, come quello Civile di Brescia. «Anche l’esperienza intrauterina è un’esperienza acustica. Nell’embrione di 44 giorni è già visibile l’abbozzo dell’orecchio: verso la trentesima settimana l’udito del feto ha raggiunto uno sviluppo tale per cui è in grado di percepire i rumori materni di fondo, in particolare il battito cardiaco della madre, il flusso sanguigno, la voce della mamma: l’udito è il primo senso a svilupparsi e l’ultimo a spegnersi».

La musica come fonte di benessere e sollievo: tu sei anche diplomata in musicoterapia…
«Gli scienziati hanno spiegato il magico intreccio fra note, emozioni, memoria e identità che incide su un’area del cervello, ma che sarebbe troppo lungo da spiegare. La musicoterapia non è fare musica ai pazienti, ma è comunicare con loro attraverso di essa. Questo tipo di comunicazione è molto più profonda rispetto all’approccio a parole, perché si vanno a toccare aree emotive e affettive, che tramite il linguaggio verbale non potrebbero essere raggiunte. Risulta un ausilio alle cure per i malati di Alzheimer, Parkinson, pazienti in coma, per chi ha avuto un ictus. Si usa il suono come stimolo cerebrale. Ogni paziente, infatti, ha un proprio vissuto sonoro, una propria storia che comprende suoni, rumori, canzoni da quando è nato fino ad oggi: è compito dell’operatore/terapeuta effettuare un’accurata anamnesi sonora-musicale e ricercare brani e canti, che possano generare un determinato stimolo, una modificazione, al fine di creare nel paziente uno stato di maggior benessere».

È un periodo artisticamente fertile. Hai inciso anche un brano molto particolare della durata insolita di 8 minuti. Come nasce Madre Terra? (link al video clicca qui)
«È partito tutto da un momento creativo, da un’ispirazione pura, stimolata da un libro letto in una sera che mi ha mandato un amico di Thich Nhath Hanh, un monaco buddista vietnamita di 93 anni che oggi vive in Francia, una guida spirituale tra le più importanti nel mondo. Ho letto il libricino con la sensazione profonda di aver riscoperto una relazione perduta, che davo per scontata. Non è solo una canzone, ma una sorta di mantra ecologico, una grande preghiera laica alla Terra, come madre di tutti gli esseri viventi. Sento che c’è un grande bisogno di riappacificazione con la natura, tra le persone, con sé stessi; in un mondo che ci intossica di rabbia, competizione, odio, invidia, abbiamo bisogno di reimparare a vivere su questo pianeta in maniera più “amorevole”».

A maggio darai alle stampe il tuo secondo romanzo (dopo Apollonia). Di che tratta?
«Si intitola La regola del bucaneve, sempre per Castelvecchi Editore. Ho utilizzato questa immagine perché questo piccolo, fragile fiore sboccia tra la neve quando è ancora inverno e quando esce è di una bellezza incantevole e commovente. Una bellezza sommessa e gentile, carica di forza vitale. Vuol essere la metafora di come ognuno di noi possa esprimersi, anche in condizioni molto difficili».

di Cristina Tirinzoni 

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