Più tutela sul lavoro per le pazienti oncologiche

Secondo i dati diffusi da AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori) e AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), in Italia nel 2020, sono state 377 mila le nuove diagnosi di tumore: di queste 182 mila nelle donne, con maggiore frequenza al seno (30%), colon retto (11%), polmone (7%). Patologie spesso diagnosticate, soprattutto il tumore al seno, nella fascia di età professionalmente più produttiva, tra 40 e 60 anni. Con ricadute importanti, non solo cliniche e fisiche, ma anche lavorative che incidono ulteriormente sulla discriminazione femminile, ancora presente nei luoghi di lavoro, in termini di posizioni dirigenziali o di riconoscimento economico. Spesso una diagnosi di tumore rappresenta un limite alla carriera, da “tacere” ai diretti responsabili: il rischio potrebbe essere il possibile “demansionamento”, perché la donna non è più una risorsa performante, come prima della diagnosi di tumore, fino all’invito-obbligo ad abbandonare il lavoro, all’auto-licenziamento. Essere messa nelle condizioni di rinunciare al lavoro è un male, dal punto di vista finanziario, emotivo, psicologico, sociale. Sono alcuni costi indiretti del cancro e che possono pesare sull’economia di un Paese e della collettività ancor più dei costi diretti dei trattamenti, per un calo generale della produttività, personale e aziendale. Dunque, non solo cure e terapie: oltre le preoccupazioni cliniche, la persona affetta da tumore deve “battagliare” anche con l’attività professionale. E per non metterla a rischio, si sacrifica la malattia: la donna rinuncia alle cure o le fa male, non nei tempi o con le modalità raccomandate, per limitare quanto più possibile “l’assenteismo”, per evitare eventuali richiami. Un evento ben noto agli oltre 2 milioni di malati oncologici a 5 anni dalla diagnosi, di cui 63% sono donne, poco tutelate dalla legge nei diritti di persone lavoratrici. Con l’obiettivo di garantire loro la “sicurezza” della professione e parità di trattamento tra lavoratori/pazienti oncologici pubblici e privati, è nato il progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” coordinato da Salute Donna Onlus insieme con 33 Associazioni di pazienti oncologici e oncoematologici, condiviso anche da cinque Disegni di legge di altrettanti Gruppi afferenti all’Intergruppo Parlamentare “Insieme per un impegno contro il cancro” che mirano ad ampliare il “periodo di comporto”, cioè la disciplina che tutela il diritto del lavoratore di conservare il lavoro anche in caso di malattia prolungata, e dei permessi per visite mediche, esami strumentali e controlli durante il follow-up, ma anche di attualizzare i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), inadeguati ai traguardi raggiunti dalla medicina. «Contrariamente ai progressi scientifici – dichiara Annamaria Mancuso, Coordinatrice del gruppo e Presidente Salute Donna Onlus – non ci sono stati altrettanti passi avanti a tutela dei diritti del lavoratore più fragile, perché malato. Occorre invece dare ai malati oncologici la tranquillità di potersi curare e la dignità di lavoratori».

Tra i primi nodi da svecchiare c’è proprio il “periodo di comporto”, ad oggi datato: stabilisce che, in caso di malattia o infortunio, il lavoratore pubblico conservi il proprio posto di lavoro per un periodo di 18 mesi retribuiti nel triennio e di altri 18 mesi non retribuiti, mentre il lavoratore privato “gode” di un diritto pari a 3 mesi con un’anzianità di servizio non superiore a 10 anni e di 6 mesi se l’anzianità supera i 10 anni. «Per quanto riguarda il periodo di comporto e le garanzie di conservazione del posto di lavoro – spiega Stefano Bellomo, Professore ordinario di Diritto del Lavoro alla Sapienza Università di Roma e Avvocato Giuslavorista –  si stanno applicando ai lavoratori oncologici o affetti da patologie di gravità equivalente, gli istituti previsti per i lavoratori subordinati. In particolare si sta cercando di tutelare maggiormente i lavoratori del pubblico, con una patologia che determina un’inabilità dal lavoro di breve o medio periodo, come può accadere in caso di malattia oncologica, ovvero ri-adattando la disciplina delle assenze e dei permessi in relazione alle esigenze terapeutiche, trattamenti, visite e accertamenti ai quali il lavoratore oncologico deve sottoporsi nel periodo lavorativo».

Ad oggi il paziente oncologico può godere di alcuni “benefici” a partire dalla legge 104 sull’invalidità civile. «Dal 2010 i cittadini averti diritto – precisa Marina Puligheddu, Dirigente Medico, Coordinamento Generale Medico Legale INPS (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale), Area Prestazioni a Sostegno del Reddito – possono farne richiesta per via telematica, così da garantire trasparenza e tracciabilità alla domanda. I pazienti oncologici, secondo la legge 80/2006, potranno essere valutati entro 15 giorni da una commissione specifica e in caso di idoneità ricevere in tempi brevi il riconoscimento della Legge 104/92 e dei relativi benefici». Tra questi 3 giorni di permesso al mese per sé o per altri, il congedo parentale in caso di minori e agevolazioni fiscali di varia natura. Inoltre, dal 2013, l’INPS ha istituito il “certificato oncologico” che viene personalizzato sul lavoratore dallo specialista oncologo al fine di consentire un accesso a prestazioni specifiche mentre si stanno avviando delle convenzioni con istituti di riferimento (è già attiva una convenzione con l’IFO e il Gemelli di Roma, con Regione Puglia e si è in attesa di attuazione per altri centri in tutta Italia). Inoltre il lavoratore oncologico può avvalersi della prestazione di invalidità previdenziale: riferita alla 222 del 1984, consente al lavoratore affetto da patologia con minimo 3 anni di retribuzione nell’ultimo quinquennio, di potere godere di un assegno ordinario di invalidità che integra lo stipendio, di mantenere il posto di lavoro e di continuare a lavorare. Diversa invece è l’inabilità previdenziale che, sempre all’interno della legge 222, riconosce al lavoratore inabile al 100% un quantum economico che corrisponde a 40 anni di contributi versati. Si tratta, dunque, di un’opportunità molto favorevole sia per le persone giovani ma anche per le più mature che possono così aggiungere anni all’età pensionabile. E le patologie oncologiche sono fra le prime condizioni aventi diritto alle richieste di ambito assistenziale e previdenziale.

Un’altra questione “chiave” riguarda le assenze dal lavoro. Secondo la legge attuale al 180° giorno di mancata presenza al lavoro, il lavoratore dipendente perde il diritto all’indennità erogata dall’INPS mentre il licenziamento resta facoltà del datore di lavoro. Per i permessi, invece, sono concesse 18 ore annuali di assenza retribuita per visite, esami strumentali e controlli sanitari nel periodo di osservazione (follow-up): un monte ore inadeguato alle esigenze dei pazienti oncologici se si pensa che l’esecuzione di una TAC di controllo, da sola, richiede una mattina e “fa perdere” dalle 4 alle 6 ore di lavoro.

In conclusione, l’ordinamento giuridico italiano non prevede una specifica regolamentazione per i malati oncologici e rinvia alla contrattazione collettiva con regole disomogenee e disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati. Le proposte di legge, depositate alla Camera, seppur con diverse modalità sono tutte orientate verso un unico obiettivo: riconoscere ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato un congruo periodo di comporto ed equità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati; garantire la conservazione del posto di lavoro per un periodo retribuito non inferiore a 24 mesi nel triennio; escludere dal periodo di comporto i giorni di ricovero ospedaliero o in day hospital per cure e trattamenti; aumentare le ore per i permessi in base alle singole necessità. Ovvero rafforzare il diritto al lavoro in caso di malattia oncologica, nel rispetto dell’Art. 4 della Costituzione Italiana.

di Francesca Morelli

La legge 104 vale anche per i malati rari

 “Invalidità civile e legge 104, tutti i diritti dei malati rari”: è il titolo del primo volume della collana “Le Guide. Dalla parte dei rari”, curato da Ilaria Vacca con la collaborazione di Alessandra Babetto, Valentina Lemma e Roberta Venturi, edito da Rarelab, grazie al contributo non condizionato di Alexion, Alnylam, Amicus, Pfizer e Sobi. La guida rivolta ai malati rari, alle loro famiglie, alle associazioni di pazienti, ma anche a medici di medicina generale, ai Centri di assistenza fiscale e ai sindacati nasce nell’ambito di Sportello Legale OMaR (Osservatorio Malattie Rare) “Dalla parte dei rari”. Ovvero una rubrica-servizio di consulenza legale, totalmente gratuita, che dal 2018 si (pre)occupa dei diritti e della tutela di questa classe di pazienti informandoli su temi di loro interesse, ancora poco noti o di difficile interpretazione come l’invalidità civile e il relativo accertamento sanitario, le prestazioni economiche (incluse quelle previste per i minori) e gli eventuali ricorsi, la legge 104 sia sul piano lavorativo che su quello scolastico, i percorsi di assistenza, le esenzioni e le agevolazioni fiscali di diritto. La Guida contiene anche le normative associate al Covid-19, “monitorabili” sul sito di OMaR (https://www.osservatoriomalattierare.it/) in funzione delle necessità contingenti. «Sono tematiche – dichiara Ilaria Vacca – di difficile interpretazione per tutti, ulteriormente gravate per i malati rari dalla scarsa conoscenza delle patologie di cui sono portatori, alcune delle quali assenti anche dagli elenchi ministeriali o INPS». Il volume, che ha l’obiettivo di provare a semplificare la vita di molti pazienti e famiglie che vivono situazioni di estrema complessità, cui ha collaborato per la parte relativa ai diritti scolastici anche ANFFAS-Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, è scaricabile gratuitamente a questo link .  F.M.

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