L’arte femminile nei nostri musei: parla Anna Maria Montaldo

Girando per l’Italia si fanno notare le tante mostre e retrospettive che numerosi spazi e musei stanno dedicando all’arte delle donne. Da Roma a Milano, passando per Bologna, Firenze, Bergamo, Forlì, come una sorta di risarcimento verso un passato archiviato velocemente, finora trascurato e non sufficientemente valorizzato. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Anna Maria Montaldo: cagliaritana, laurea in lettere e filosofia, già direttrice dei Musei civici di Cagliari, è da febbraio 2017 alla guida del Polo museale Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano, che comprende tre musei civici: il Museo del Novecento, la Galleria d’Arte Moderna, e il Museo delle Culture. La dottoressa Montaldo è anche Presidente dell’ANMLI (Associazione nazionale musei locali e istituzionali).

C’è una riscoperta dell’arte al femminile, non abbastanza valorizzata o addirittura trascurata. Lo dimostra il fitto calendario di eventi mostre in tutta Italia. Cosa ne pensa?
«L’esiguità del numero di donne sulla scena artistica internazionale, anche in una prospettiva storica, non è dovuta alla grandezza o meno dell’artista, ma riguarda in modo molto più ampio la storia sociale delle donne, quando venivano costantemente rimosse dalle attività intellettuali e artistiche. È uno stacco che non si esaurisce nella questione artistica, ma chiama in causa l’impianto politico, sociale e culturale della nostra società. Occorreva colmare la lacuna, valorizzando i talenti femminili che meritavano di essere riconosciuti e tessere così il filo di una storia dell’arte che richiedeva di essere portata alla luce nelle sue diverse declinazioni e forme espressive».

Oggi per molte artiste non c’è un’arte al femminile e una al maschile. Possiamo parlare di un approccio di genere all’arte?
«Oggi dobbiamo considerare l’Arte come Arte, al di là dei generi e delle divisioni, cercando di superare quei retaggi sociali che il passato ci ha lasciato. L’arte è universale, non ha genere, piuttosto conta il talento. Personalmente penso che si tratti solo di diverse sensibilità personali. Non si tratta di essere differenti ma di fare la differenza. D’altra parte oggi noto come le donne, anche nell’arte come in ogni altro campo siano, nella grande maggioranza, coraggiose sperimentatrici, abbiano un’attenzione e una sensibilità più profonde nell’indagare tematiche forti, mi riferisco soprattutto alla fotografia. Quasi mai fredde testimoni, sempre coinvolte. Aggiungo, cosa da non sottovalutare, le donne dirigono musei, possiedono gallerie, costruiscono collezioni, creano fondazioni, gestiscono fiere, biennali, triennali e quadriennali, curano e organizzano mostre ed eventi pubblici. Forse non è ancora parità… ma siamo sulla buona strada. Fino a qualche decennio fa le donne erano estromesse dal mercato dell’arte, o perlomeno ne erano tenute ai margini. Oggi la situazione fortunatamente è rovesciata: sono le donne le grandi protagoniste della scena internazionale dell’arte contemporanea, anche se sempre con fatica. Per emergere una donna artista deve essere bravissima; a un uomo basta essere bravo».

La rivoluzione rosa parte da musei come il Baltimora Museum of Art, che ospita soltanto mostre al femminile per tutto l’anno. Ma anche in Italia la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma ha scelto di esporre in collezione permanente almeno il 30% di artiste donne ripescandole dai depositi. Cosa pensa dell’introduzione delle quote rosa nei musei?
«Troppo a lungo le donne sono state apprezzate soltanto come muse e non come artiste. Camminando lungo i corridoi dei più importanti musei del mondo, non si può fare a meno di notare come i quadri firmati da donne si contino sulle dita di una mano. Quante donne artiste conosciamo? Quante fotografe veramente celebri, scultrici, pittrici possiamo annoverare? Qualcuna sì, certo. Ma in minoranza schiacciante rispetto ai colleghi. Perché non ci sono state grandi artiste? Eppure sono esistite, eccome. Non sono dunque contraria alle quote rosa. Per correggere lo squilibrio serve un intervento radicale sul palinsesto espositivo dando un’attenzione maggiore alle artiste per avere una visione completa dello stato dell’arte. Nel riparare a questo torto, dobbiamo però stare attenti: è importante che il “passaporto” di ingresso nel museo sia costituito dall’opera, dalla sua forza espressiva, dalle sue qualità innovative e tecniche, non da forme di anagrafe».

Cos’è in concreto il talento delle donne?
«Diversamente da quello maschile, ha in sé qualità proprie della storia del mondo femminile, di una condizione che non è mai stata facile da vivere in società che, in passato, sono state molto repressive nei loro confronti, ma che a dispetto di tutto ha forgiato temperamenti artistici».

Come è maturata la sua decisione di guardare oltre Cagliari?
«Ho partecipato al concorso del Comune di Milano per curiosità, ovviamente per interesse, ma senza patemi d’animo. I competitor erano tanti e di livello. È stata una bella sorpresa ricevere la comunicazione della mia vittoria, ma so bene di aver presentato un profilo competitivo e coerente con ciò che si chiedeva».

Che caratteristiche porta nella professione?
«Impegno, coraggio, passione. È questa un’esperienza molto coinvolgente e affascinante, anche se mi assorbe totalmente, ma lavoro con autentica gioia! Non amo e non ho mai amato il “potere”, quindi la mia scelta è sempre stata quella di non usarlo, se pure ne avessi la possibilità. Sono, invece, aperta alla collaborazione, all’ascolto delle esigenze di tutti, senza le quali credo non si riesca a realizzare nulla di buono».

Che cosa ha portato al Polo museale?
«Ho scelto di lavorare alla direzione di un museo che sia un generatore di domande, di idee, di relazioni, di dialogo, piuttosto che un “palazzo delle esposizioni”, un luogo di scambio con la comunità artistica e con i cittadini, stimolante, radicato nel suo territorio, ma anche aperto al mondo. Sono convinta che un museo oggi svolga un ruolo sociale molto importante. Deve essere un punto di riferimento scientifico e divulgativo, ma anche molto altro, come saper connettere il centro con la periferia».

Qual è stato il progetto che più l’ha appassionata in questi anni di lavoro milanese?
«La mostra dedicata a Frida Kahlo al MUDEC di Milano (febbraio 2018 ) che si propone di delineare una nuova chiave di lettura attorno alla figura dell’artista messicana. E poi la mostra su Giosetta Fioroni, al Museo del Novecento. Giosetta è stata una figura molto importante per il ‘900 italiano, ed è un’artista che si è fatta guidare dai sentimenti, ma non ha mai ceduto al sentimentalismo o alla banalizzazione».

Quali novità ha in serbo?
«Il Museo del Novecento di Milano cambia volto a partire dal rinnovamento del percorso espositivo. E’ cresciuto con la città e in vista del suo decimo compleanno si presenterà completamente rinnovato, con una riscrittura del percorso museale e attraverso opere mai esposte, nuove acquisizioni e prestiti, perché la memoria e la nostra identità culturale sono un processo dinamico che il museo deve saper interpretare. Non solo nuove opere: anche quelle già presenti saranno messe in dialogo in maniera differente. Stiamo continuando ad acquisire opere contemporanee: l’ambizione è di far arrivare la nostra collezione agli anni Duemila. Il progetto iniziale era quello di celebrare il 6 dicembre con una grande festa in piazza Duomo e l’ingresso libero al museo. Due elementi che l’emergenza sanitaria non ci permette di realizzare. Causa Covid abbiamo rivisto l’idea, mantenendola viva: il collegamento con la città è forte e vogliamo celebrarlo. Porteremo “il museo fuori dal museo”, con proiezioni di opere e testimonianze».

Cambierà la fruizione di mostre e di musei dopo la pandemia?
«Non sono solo il distanziamento sociale e la sicurezza la sfida dei nostri musei, molti altri aspetti dovranno essere ripensati, ricalibrati, cambiati. Con il Covid finisce il tempo dei “mostrifici” fatto di numeri e folle di turisti, che peraltro ho sempre combattuto. In un passato ancora recente si è puntato sul frenetismo, in una sorta di “bulimia visiva”. Abbiamo visto troppe mostre temporanee stravolte dalla quantità che con abilità celano il vuoto dei contenuti. Cento turisti davanti a un Caravaggio equivalgono alla soppressione del Caravaggio. Si perde la concentrazione, e la capacità di andare in profondità e apprezzare il valore di ciò che andiamo a visitare. La pandemia ci impone di ripensare il modello di business dei nostri musei, dovremo allontanarci dagli eventi di massa e tornare alle collezioni, il che è una cosa molto positiva. Con uno slogan: puntare non ai grandi numeri ma alle grandi idee. Meno quantità, più qualità. Credo spetti a tutti noi anche aiutare le persone a recuperare un’idea meno nevrotica del rapporto con i luoghi, invitare anche i visitatori occasionali a un coinvolgimento maggiore, a un’esperienza più lenta e profonda. Come nuovo luogo dell’anima ove trovare rifugio. Un luogo di confronto e approfondimento. La nostra sfida sarà quella di dover lavorare e produrre eventi con budget ridotti, coscienti di essere una piattaforma di pensiero, di cultura e di ricerca, di rigenerazione e continuo dialogo, con i cittadini».

Ispirandoci a una frase celebre, pensa che l’arte, la sua forza, la sua bellezza potranno salvare il mondo?
«Assolutamente sì. Amare l’arte è una delle cose più naturali che esistano. Non importa praticarla, basta frequentarla, e nessun altro paese è così ricco di tesori artistici e paesaggistici sparsi per tutto il territorio come l’Italia. E dopo poco ci si accorge che l’arte migliora la qualità della vita. Di tutti».

di Cristina Tirinzoni

In mostra a Milano “I Talenti delle Donne”

Dopo il lungo lockdown da Covid-19, i musei hanno riaperto le porte, naturalmente con regole dettate dall’emergenza contagio. Molti progetti del Comune di Milano sono stati riprogrammati, così come il palinsesto “I Talenti delle Donne”, che fino all’aprile 2021 continuerà a proporre mostre, spettacoli e incontri dedicati al mondo della creatività femminile. A Palazzo Reale la mostra fotografica Prima, donna dedicata al lavoro e alla vita della pioniera fotogiornalista Margaret Bourke-White (dal 25 settembre); all’Acquario Civico (Una vita da scienziata, esposizione dei ritratti di cento tra le più grandi scienziate italiane (fino al 1° novembre) ideata e curata da Fondazione Bracco; la retrospettiva Carla Accardi, dal titolo Contesti, curata dal Museo del Novecento (fino a giugno 2021); e la mostra Divine e avanguardie. Le donne nell’arte russa, frutto di una collaborazione esclusiva con il Museo di Stato russo di San Pietroburgo, ancora a Palazzo Reale (dal 28 ottobre).  Il PAC propone una nuova edizione di Ri-scatti, progetto di riscatto sociale attraverso la fotografia che quest’anno vede protagoniste sette vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale che hanno fotografato la propria realtà (16-25 ottobre). Per tornare poi (da marzo) a rappresentare la creatività femminile con un’esposizione dedicata all’artista italiana Luisa Lambri, che ha esplorato l’architettura modernista attraverso la fotografia. I Talenti delle Donne tornano ad essere protagonisti a Palazzo Reale (dal 3 dicembre) con Le signore del Barocco, mostra dedicata alle grandi artiste del Seicento e anche ad altre meno conosciute al grande pubblico; al MUDEC (sempre dal 3 dicembre) con l’esposizione “Io sono/I am” di Luisa Menazzi Moretti, che attraverso venti ritratti fotografici racconta la storia di venti rifugiati giunti in Italia e provenienti da sedici nazioni diverse; al MUDEC Photo, nei cui spazi (dal 19 gennaio) gli scatti di Tina Modotti evocano il senso della triade contenuta nel sottotitolo della mostra: Donne, Messico e Libertà. L’ingresso alle mostre sarà contingentato, nel rispetto delle normative anti-Covid, la prenotazione è consigliata.  C. T.

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