Ritorno a scuola in sicurezza: si può e si deve

Anche l’istruzione, come la salute, è un diritto inalienabile. Eppure, oggi, in epoca Covid, sembra difficile poterli coniugare, soprattutto con la riapertura delle scuole. Tanto che gli esperti e i pediatri temono che, complice qualche sgarro comportamentale, si possa attendere una seconda ondata del virus, all’incirca a dicembre. Previsione che ha acceso l’allerta rivolta a tutta la popolazione scolastica: corpo docente, alunni, genitori, prime sentinelle della salute dei figli. «Non è possibile “chiudere” lo sviluppo fisico e mentale dei bambini, né del sistema economico, mettendo in lock-down ancora scuola e lavoro per i genitori – dichiara Claudio Cricelli, Presidente della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primari) – ma per evitare che la riapertura delle scuole diventi luogo corresponsabile della crescita di infezioni da Covid occorre adottare misure preventive». Sono e saranno dunque necessarie precauzioni cliniche, dicono gli esperti, con l’esecuzione di test sierologici, anche di test salivari rapidi soprattutto dei docenti e un’attenta sensibilizzazione dei giovani studenti e dei genitori sulla necessità di fare uso di misure profilattiche durante le lezioni e le attività ricreative – dalle mascherine al distanziamento – per tutelare se stessi e le persone fragili come nonni e malati dal rischio di contagio.

Oltre a queste precauzioni, l’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri – Italian Thoracic Society (Aipo-Its) – raccomanda anche il controllo quotidiano della temperatura all’ingresso della scuola per studenti e insegnanti, con registrazione di quanto rilevato sulla Cartella Clinica Digitale, appositamente creata, l’introduzione del Medico di Lavoro Competente – un Pediatra o un Medico di Medicina Generale che operi in qualità di Medico Responsabile – costantemente avvisato dalle famiglie, tramite mail o messaggi, in caso di segnali di malessere potenzialmente riferibili a Covid, suggerendo anche la creazione di una chat di classe e di flussi di mail ufficiali con le famiglie, per  garantire una corretta educazione sanitaria e monitorare l’insorgenza di eventuali criticità. Non meno importante, sottolineano gli esperti, è il rispetto di misure pratiche protettive, principalmente le mascherine, che possono essere rimosse “in condizioni di staticità”, quindi nel corso della normale lezione e quando è garantito il rispetto della “distanza di almeno un metro”, ma che vanno indossate in condizioni speciali come le lezioni di canto, in cui la diffusione di droplets è inevitabile. L’età però può fare la differenza: tra 6 e 11 anni l’uso della mascherina sarebbe condizionato dalla situazione epidemiologica locale, scolastica o cittadina, mentre dai 12 anni in poi le regole d’uso sono le stesse che devono essere adottate dagli adulti. Resta inteso che le mascherine devono essere chirurgiche (non di stoffa), che non devono essere toccate, tolte o abbassate, che devono essere sempre pulite e cambiate una volta al giorno, personalizzandole con un simbolo distintivo per essere facilmente riconoscibile e non confuse con altre simili. «Queste indicazioni – aggiunge Susanna Esposito, Presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid) e Professore Ordinario di Pediatria all’Università di Parma – sono valide per tutti i bambini e gli adolescenti, tanto in buona salute quanto con malattie croniche come fibrosi cistica, tumori, immunodeficienze o diabete di tipo 1 affinché la scuola possa essere frequentata in sicurezza. Inoltre è fondamentale che riprenda anche la scuola in ospedale, presenza fondamentale nel segno della normalità». Sempre nel rispetto delle regole d’oro che, assieme alle mascherine, ci accompagnano dall’inizio della pandemia, ovvero:

  • Igienizzazione delle mani che devono essere lavate di frequente, a lungo (almeno 40 secondi) e con il sapone, evitando di toccarsi naso e bocca, potenziale veicolo di contagio. Inoltre vanno disinfettate con gel apposito prima e dopo la frequentazione di qualsiasi ambiente, in particolare quando si accede ai mezzi pubblici o in aula, e da utilizzare quando le attività didattiche prevedono contatti con oggetti in comune.
  • Disinfezione degli ambienti, soprattutto delle superfici “di contatto”, compresi gli oggetti comuni, che vanno sanificati con regolarità durante la giornata, prevedendo anche punti per l’igienizzazione delle scarpe. Indispensabile è dunque nelle scuole la presenza di colonnine con distributori di gel.
  • Accessi scaglionati, scadenzando l’ingresso nelle scuole e negli uffici, per evitare affollamenti e pericolose code. Sarebbe opportuno, laddove possibile, la realizzazione di apposite corsie di ingresso e uscita.

Esiste davvero il rischio di un’impennata di nuovi casi con l’inizio dell’anno scolastico? No, se si rispettano le misure di prevenzione, tanto più che recenti studi avrebbero attestato che esiste un basso rischio di diffusione del virus da bambino a bambino e che è rara la trasmissione da bambino a adulto. È comunque una necessità prioritaria riaprire le scuole per contrastare i disagi sia sul piano fisico, psichico e sociale manifestati nel 75% dei piccoli e degli adolescenti durante il lockdown, come dimostra una ricerca italiana condotta su un campione di 2.064 studenti tra gli 11 e 19 anni. Questa evidenzia la comparsa del senso di angoscia e tristezza tra i giovani, causate dalla solitudine, che è stata avvertita da oltre il 42% di ragazze e dal 32% di ragazzi. Sensazioni accentuate anche dalla mancanza di senso di comunità, tipicamente generato dalla scuola, emersa in circa il 42 % dei casi (26% femmine; 16% maschi) e nel 20% dei casi dallo stop delle attività sportive praticate a scuola, avvertito da quasi il 7% di ragazze e da oltre il 13% di maschi.
L’abbassamento del tono dell’umore, invece, non pare legato al virus: solo il 4% dei ragazzi ha dichiarato di sentirsi triste per paura della malattia. Tuttavia il 49% delle ragazze ha riferito di piangere durante il giorno (13,4% nei maschi), complici l’ansia e l’agitazione che hanno colpito quasi il 40% degli intervistati (24% femmine; 14 % maschi), dovute alla separazione dai compagni e nel 27% dei casi dal timore di non riuscire a stare dietro allo studio.

Infine non sono mancati disturbi del sonno: a dormire meno è stato il 43% delle femmine, contro il 24% dei maschi, con un senso di affaticamento più marcato e frequente nelle femmine (49% vs 35%), soprattutto nel gruppo di 14-19 anni. Insomma, a farne le spese maggiori sembrano essere state le ragazze che chiedono anche di essere maggiormente informate (51% vs 48% dei maschi) su Covid parlandone con un medico, come anche di programmi formativi scolastici su tematiche di salute. E se mai si avvertissero sintomi sospetti durante l’anno scolastico? «Prima di gettarsi a capofitto nell’esecuzione del tampone – consiglia Piercarlo Salari, pediatra e responsabile del Gruppo di lavoro e Genitorialità della Società di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps) – meglio attendere qualche giorno e monitorare l’evoluzione della sintomatologia, ricordando che, assieme al Covid, continueranno a co-esistere altre patologie respiratorie, come il semplice raffreddore. Di conseguenza, più degli altri anni, è fondamentale vaccinarsi e vaccinare i piccoli contro l’influenza».

Dunque niente ansia o allarmismi da parte dei genitori verso i figli molto ricettivi a stati tensivi, che potrebbero generare anche comportamenti anomali. Qual è allora la lezione lasciata da Covid? Ha segnato uno spartiacque, certamente in tema di scuola e di didattica, ma non solo: «Il lockdown – conclude Beppe Bagni, Presidente Nazionale del Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti – ha fatto perdere pagine di istruzione dei tradizionali libri scolastici, ma ha fatto guadagnare in vissuto emozionale da parte del bambino. E da questa esperienza di sensazioni ed emozioni dovranno ripartire l’istruzione, l’impostazione della scuola di vita e della didattica».

di Francesca Morelli

Pediatri di famiglia pronti a fare prevenzione negli istituti

La Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) si dichiara contraria alla proposta di re-introdurre nelle scuole la figura del medico scolastico, abbandonato con l’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale circa 40 anni, dichiarandosi pronti ad assumersi il compito, già previsto dal loro ruolo, di “sentinelle” anche all’interno delle strutture scolastiche. È questa la posizione espressa dal Presidente della FIMP, Paolo Biasci, nel corso di un incontro con il Ministro della Salute, Roberto Speranza. «Dentro quelle classi – ha dichiarato il Presidente – ci sono i nostri pazienti ed è impensabile affidare ad altre figure professionali non specialistiche compiti che si collocano tra le nostre responsabilità. Non c’è bisogno di un altro medico, piuttosto, come indicato nel documento dell’Istituto Superiore di Sanità sulla gestione dei contagi nelle scuole, occorre che i Dipartimenti di Prevenzione individuino figure di raccordo, come gli Infermieri di Comunità».

I Pediatri di Famiglia sono dunque attivi e propositivi nello svolgimento di azioni di tutela e prevenzione nelle scuole con iniziative territoriali, già contemplate nell’Accordo Collettivo Nazionale. «Facciamo tesoro del rapporto fiduciario che abbiamo costruito nel tempo con le famiglie, i nostri assistiti e con l’intero territorio e da lì ripartiamo – conclude Biasci – consapevoli che la scuola non solo garantisce la didattica, ma è anche ambito di apprendimento della socialità e della convivenza. Ovvero un luogo dove con bambini e adolescenti devono lavorare in sicurezza educatori, insegnanti e personale. Con un doveroso senso di responsabilità da parte di tutti, dobbiamo dare a questo equilibrio una solida sostenibilità. Come Pediatri di Famiglia siamo pronti a fare la nostra parte». F.M.

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