Settimana mondiale della tiroide: se funziona male è anche colpa dello stress

Anche lo stress è complice del malfunzionamento della tiroide che impatta sul metabolismo e la funzionalità di diversi apparati, favorendo l’insorgenza di specifiche problematiche come disturbi digestivi, alterazioni del ciclo mestruale, difficoltà a concepire, squilibrio del sistema immunitario con riacutizzazioni di herpes simplex labiale e/o vaginale, candida e disturbi della ghiandola tiroidea. Lo ricordano gli esperti in occasione della Settimana Mondiale della Tiroide (25-31 Maggio), un appuntamento per la migliore conoscenza di quest’organo: dalla prevenzione, alla diagnosi e cura. «Quando siamo stressati – spiega la dottoressa Serena Missori, endocrinologa – il cortisolo nel sangue, l’ormone coinvolto nello stress e nel malfunzionamento tiroideo, comunica con la “centrale di comando”, ipotalamo e ipofisi localizzati nel cervello, imponendo un importante risparmio energetico per controbilanciare una condizione di privazione o di necessità. Richiesta che si traduce in un blocco della produzione di ormoni tiroidei che governano il metabolismo». Un problema, quello delle disfunzioni tiroidee, piuttosto diffuso nel nostro Paese: ne soffrono circa 6 milioni di italiani a causa di noduli, ipotiroidismo, ipertiroidismo, tiroiditi autoimmuni che, a seconda delle problematiche, causano sintomi come stanchezza, sovrappeso, iperinsulinemia, diabete mellito, intolleranza al lattosio, gonfiore addominale. Effetti collaterali tutti migliorabili, oltre che con adeguate terapie, anche con la correzione della dieta. «In caso di disfunzioni tiroidee – aggiunge l’esperta – sono da prediligere cereali, pseudo cereali (granaglie) senza glutine come riso, quinoa, grano saraceno, miglio; tuberi e radici tuberose, ottima fonte di carboidrati, soprattutto le batate (o patate dolci) e le patate americane. Sono indicate anche le proteine di qualità come uova biologiche, agnello, maiale; frutta biologica a chilometro zero o da filiera controllata; i grassi sani come olio di avocado, farina di cocco, semi oleosi tra cui lino, canapa e girasole e frutta oleosa quali mandorle, noci, nocciole che hanno azione antiinfiammatoria. Condimenti, dolcificanti, spezie e brodo come aceto di mele, aglio, basilico, brodo di carne, di ossa, vegetale possono essere usati a piacere in presenza di qualsiasi problematica tiroidea». Sono invece da evitare alimenti e sostanze eccitanti come caffè, tè e alcolici che possono aumentare i sintomi legati all’ipertiroidismo, quali agitazione, nervosismo e insonnia. Sono solo alcuni buoni consigli alimentari contenuti, insieme a gustose ricette, nel libro della dottoressa, “Tiroide e metabolismo. Le ricette” (edizioni LSWR, 2020) .

Oltre al peso, non sono esclusi in caso di disfunzione della tiroide anche problemi di infertilità che impatta ad esempio per oltre il 2% dei casi nell’1,5% delle donne che soffrono di ipotiroidismo o può aumentare il rischio di aborto. «Per monitorare la salute della tiroide e fare prevenzione, la prima cosa da fare – dichiara la dottoressa Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma – è verificare la quantità di TSH nel sangue, l’ormone che stimola la produzione e il rilascio della T4 e della T3, la cui alterazione è indice di ipotiroidismo o ipertiroidismo. Inoltre gioca un ruolo importante anche lo iodio, principale costituente degli ormoni tiroidei, fondamentali per lo sviluppo del cervello del feto e, durante la vita adulta, del mantenimento dell’equilibrio metabolico». Il fabbisogno di iodio in gravidanza è più elevato, proprio per soddisfare la maggior produzione di ormoni tiroidei necessari allo sviluppo del feto, un valore da monitorare anch’esso con attenzione. «Anche una lieve carenza di iodio– precisa la Galliano – può esporre il feto al rischio di difetti nello sviluppo neuro-cognitivo e a una possibile condizione di ipotiroidismo fetale e neonatale che, se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può determinare ritardo mentale e dell’accrescimento». Una prima prevenzione è possibile già a tavola, con piatti e ricette con poco sale e iodato, arricchito cioè con questa sostanza, al posto del normale sale da cucina, in modo da integrare le quantità di iodio giornaliere di cui l’organismo ha bisogno: 150 microgrammi per gli adulti, 175 per le donne in attesa e 200 microgrammi durante l’allattamento.

Ma ciò che fa la vera differenza sulla prevenzione di patologie e disturbi tiroidei sono alcune azioni ad hoc: come la Legge n.104/1992, un programma nazionale di screening neonatale per l’ipotiroidismo congenito che “somministra” la terapia sostitutiva ai bambini affetti da tale carenza entro le prime settimane di vita, o il programma nazionale di sorveglianza della patologia (DPCM 9/7/1999) realizzato dal Registro Nazionale degli Ipotiroidei Congeniti, presso l’Istituto Superiore di Sanità in vigore dal 1999, fino all’introduzione 15 anni fa di un programma di Iodoprofilassi su base volontaria (Legge 55/2005) che ha migliorato la nutrizione iodica della popolazione italiana in tutto il paese, come confermano i dati della seconda sorveglianza, relativa al periodo 2015-2019, condotta dall’Osservatorio Nazionale per il Monitoraggio della Iodoprofilassi (OSNAMI) dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con gli Osservatori Regionali per la Prevenzione del Gozzo. Patologia, quest’ultima, largamente presente solo alcuni decenni fa sull’intero territorio. Una recente indagine su circa 4.000 bambini in età scolare, residenti in 9 Regioni rappresentative del Nord, Centro e Sud Italia dimostrerebbe sia una concentrazione urinaria di iodio (ioduria) sufficiente in tutti i bambini reclutati ma soprattutto la scomparsa quasi totale del gozzo in età scolare in tutte le Regioni, testimoniando che il sale iodato è entrato a fare parte della dieta e della tavola di circa il 70% delle famiglie italiane e dell’80% delle mense scolastiche. «I risultati conseguiti dai programmi nazionali di prevenzione delle patologie tiroidee, quali la iodoprofilassi o lo screening neonatale dell’ipotiroidismo congenito – fa sapere la dottoressa Antonella Olivieri di OSNAMI – rappresentano un importante successo in termini di salute pubblica: da un lato contribuiscono infatti in maniera importante al mantenimento della salute tiroidea della popolazione, dall’altro la loro attuazione su scala nazionale permette di evitare eventuali diseguaglianze tra le Regioni garantendo a tutti il diritto alla salute tiroidea, anche se una certa preoccupazione rimane ancora per le donne in gravidanza per le quali non è stata ancora dimostrata un’adeguata nutrizione iodica».

Infine una curiosità: è possibile “sospettare” un problema di tiroide, ipotiroidismo e ipertiroidismo, anche con qualche strumento pratico? Sì, dalla scrittura. Lo attesterebbe uno studio, condotto dal Policlinico Gemelli di Roma in collaborazione con l’Usl di Modena: «In caso di entrambe le problematiche – conclude Alfredo Pontecorvi, professore di Endocrinologia dell’Università Cattolica di Roma e Direttore di Endocrinologia e diabetologia del Gemelli – alcune lettere come  t, f e d ma anche la spaziatura tra una lettera e l’altra variano notevolmente. Il percorso della lettera appare leggermente modificato tanto che e l’autenticità della scrittura è messa in dubbio anche da esperti grafologi. Il test ripetuto dopo terapia ha confermato infatti l’alterazione fra il primo e il secondo campione di scrittura. Dunque, oltre ai classici sintomi che accompagnano le due patologie, la modificazione del grafismo potrebbe essere un ulteriore campanello di allarme».

di Francesca Morelli

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