Alessia Maria Mosca: la politica delle “Quote Rosa”

La politica è sempre stata la sua passione fin da quando, subito dopo la laurea in Filosofia alla Cattolica di Milano, aveva conseguito il dottorato in Scienza della Politica all’Università di Firenze e un master in Diplomazia internazionale alla Johns Hopkins University di Baltimora. Dopo un’esperienza anche al Parlamento Europeo, decide di scendere in campo nella politica italiana, tra le fila del Partito Democratico. Alessia Maria Mosca viene eletta nel 2008 alla Camera dei Deputati, nella Circoscrizione Lombardia, come segretario della Commissione Lavoro alla Camera e riconfermata nel 2013 nella segreteria nazionale di Guglielmo Epifani. Nel 2014 diventa europarlamentare. Durante le due legislature alla Camera dei Deputati, molte sue proposte sono diventate leggi. Tra queste, l’istituzione di case-famiglia protette per giovani mamme detenute e figli minori; l’istituzione di incentivi fiscali per il rientro dei “cervelli” dall’estero. Ma la legge che più la ricorda, anche perché porta il suo nome, è la Legge Golfo/Mosca, più conosciuta come Legge delle “Quote Rosa”. Che ha finalmente dato una svolta alla presenza delle donne nei posti chiave delle aziende. E nella Giornata dell’8 marzo, vogliamo esprimerle la nostra riconoscenza per aver dato un decisivo contributo a valorizzare la professionalità delle donne, in un mondo come quello manageriale, di dominio prevalentemente maschile. L’abbiamo incontrata in occasione dell’evento: “Dalle Gender alle diversity quotas”, promosso dall’Università Bicocca di Milano.

Cosa prevede esattamente la Legge Golfo/Mosca (120/2011) presentata da Lei e dall’on. Lella Golfo?
«La “nostra” legge prevede che, a partire dal primo rinnovo, dopo la sua entrata in vigore il 12 agosto 2011, i consigli di amministrazione delle società italiane quotate e a partecipazione statale fossero costituiti da un minimo del 20% (poi 30% dal secondo rinnovo) di membri del genere meno rappresentato che, date le percentuali bassissime di donne, è stato sempre quello femminile. Nel caso esistesse un Cda sbilanciato in senso opposto, cioè tutto al femminile, la regola si applicherebbe interessando gli uomini (in quei casi si parlerebbe di “quote azzurre”). La legge è stata pensata con una valenza temporanea: 3 mandati, ovvero 9 anni dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione. Credevamo che questo tempo sarebbe bastato per cambiare la cultura e quindi rendere inutile il rispetto di una legge. Abbiamo visto che purtroppo non è stato così, e per questo, fortunatamente, grazie all’impegno di colleghe che oggi siedono in parlamento, a dicembre la “Golfo-Mosca” è stata prorogata all’interno della Legge di Bilancio. Ed è addirittura stata implementata: al suo scadere, l’obbligo di nominare Cda equilibrati in termini di genere previsto dalla 120/2011 resterà in vigore per altri 3 mandati e la quota minima da rispettare salirà dal 30 al 40%. Davvero un grande successo e un ulteriore passo avanti in tema di parità!».

Dal 2011 a oggi, quali sono state le principali difficoltà nell’applicazione di questa legge?
«I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Da una presenza di donne di meno del 7% da cui partivano nel 2008, grazie alle imposizioni e alle pesanti sanzioni previste dalla legge, siamo arrivati oggi a una quota di oltre il 32% di presenze femminili nei consigli di amministrazione delle società quotate e partecipate. Il successo è stato tale che si sono moltiplicate anche le aziende (soprattutto quelle più grandi) che, seppure non interessate direttamente dalle norme previste, si sono negli anni dotate e si stanno dotando di una governance aggiornata che prevede al suo interno il rispetto dell’equilibrio di genere nei livelli di gestione più alti.
I rischi che la legge non venga rispettata sono dietro l’angolo e per questo è stato fondamentale sia imporre sanzioni molto dure (fino allo scioglimento del Cda, qualora non rispettasse la legge) che un monitoraggio costante da parte delle autorità, degli osservatori e anche dei diretti interessati. Non sono mancate le segnalazioni che hanno portato alla luce situazioni di non rispetto delle norme: intervenire subito ha portato ad azioni “correttive” da parte dei casi specifici, per rientrare nei parametri richiesti».

Esistono differenze regionali per quanto riguarda la presenza delle donne nei posti chiave delle aziende e le loro remunerazioni?
«La differenza sui numeri è legata alla presenza di società quotate o partecipate in ciascuna regione. Purtroppo il tema del paygap si presenta ancora molto diffuso in tutto il mondo, non solo in Italia o in questa o quella regione specifica. E se è vero che non si conoscono con precisione i compensi di ciascun membro dei Cda, è vero anche che i dati e le ricerche segnalano, a livello mondiale, una disparità ancora importante, anche ai livelli più alti. Nonostante le donne abbiano evidentemente innalzato i profili dei nuovi membri dei board (dovendo inserire nuove figure, si è puntato a scegliere le migliori sul mercato), questo non sembra aver corrisposto però a una parificazione dei compensi. Ripeto, non abbiamo dati precisi e puntuali per ciascuna situazione, ma le statistiche continuano a segnalare una forbice molto importante tra i salari delle donne e degli uomini a qualsiasi livello».

Com’è la situazione delle Quote Rosa in Italia rispetto ad altri Paesi europei?
«In materia l’Italia è stata modello. Tanto che sono molti gli stati europei che si stanno orientando verso le indicazioni che si ispirano alla nostra legge. Dopo anni di silenzio, per esempio (era stata fermata a un passo dalla sua votazione) è tornata sul tavolo delle discussioni una Direttiva europea, proposta dall’allora Commissaria Viviane Reding, che vorrebbe introdurre il modello quote di genere in tutta Europa. Il fatto che abbiamo dovuto noi per primi prorogare la Golfo-Mosca, segnala che non siamo ancora arrivati a un cambio culturale importante in nessuno stato europeo. Proprio di recente ho discusso con la vice ambasciatrice olandese in Italia che ha molto a cuore il tema dato che anche nel suo paese, progressista e modello di innovazione in tanti settori, ancora si vive una disparità di genere che relega, spesso, le donne in posizioni di dipendenza economica anche pericolosa».

 Qual è il valore aggiunto della presenza delle donne nei ruoli manageriali di un’azienda?
«In realtà sono molteplici. Prima di tutto avere modelli diversi a capo può essere lo stimolo per molte più donne di intraprendere una carriera mai forse prima immaginata. Inoltre, se le donne sapranno fare rete, si potranno scalfire quegli “all boys’ club” che ancora dominano tante decisioni aziendali, politiche, sociali. Dati alla mano, team di lavoro misti, con un certo bilanciamento tra uomini e donne, sono più efficienti nel risolvere problemi o sfide molto pratiche, sono efficaci e portano all’azienda benefici economici calcolabili. In molti casi poi si è visto che le donne, se possono, scelgono le donne; è dimostrato che sono meno “corruttibili”; essendo state fino ad ora meno rappresentate, portano una ventata di novità che è utile per affrontare le nuove sfide, figlie del contesto storico che stiamo affrontando».

Come donna, attiva in politica, ma soprattutto “madrina” di questa Legge, si sente gratificata dai cambiamenti che è riuscita a portare alla società, valorizzando la professionalità delle donne?
«Il tema della partecipazione femminile e delle opportunità delle donne ha occupato tutta la mia vita professionale, visto che mi sono interessata di queste tematiche ancora da studentessa in filosofia. “Gratificata” non è forse il termine che userei perché vedo il traguardo raggiunto come il successo collettivo di una partita giocata assieme a tante e tanti, con i quali abbiamo condiviso anche sconfitte, rallentamenti e il timore di non arrivare alla firma definitiva della legge, per esempio. Direi che la soddisfazione di poter vedere il proprio lavoro riconosciuto e apprezzato è il necessario stimolo per non smettere di interessarsi, continuare a tenere l’attenzione alta e promuovere ancora maggiore parità. Certo abbiamo portato più donne nei Cda. Ora dobbiamo fare che ci restino e che a cascata portino a un balzo avanti altrettanto significativo i numeri della partecipazione femminile al mondo del lavoro, delle professioni più tipicamente maschili, a partire dalla promozione tra le bambine degli studi STEM fin dai banchi della scuola dell’obbligo».

di Paola Trombetta

Articoli correlati