Melanoma: un nuovo farmaco immuno-oncologico cura la malattia

«Ho avuto la diagnosi di melanoma a 29 anni e ho pensato che quello sarebbe stato il mio ultimo compleanno. Il tumore era già a uno stadio molto avanzato, con metastasi ai linfonodi e si stava diffondendo rapidamente. È stato facile scoprirlo perché era un neo vicino all’ombelico che avevo da quando ero piccola e controllavo sempre. Ma che, dopo la gravidanza, avevo un po’ trascurato. Nel giro di poche settimane avevo notato un totale cambio di colore: era diventato nero e prominente, essendo cresciuto in verticale. Mi ero rivolta al medico e poi al dermatologo che aveva subito intuito e nel giro di pochi giorni mi aveva operata all’Istituto Regina Elena di Roma. L’attesa di un paio di settimane per l’esito della biopsia è stata estenuante. Il giorno del verdetto, quando sono andata a togliere i punti dell’intervento, ho subito capito che la situazione era grave, anche perché mi erano comparsi due ingrossamenti all’inguine: erano i linfonodi già intaccati dalla malattia. La “sentenza” era ormai certa: si trattava di melanoma nodulare metastatico. Documentandomi su Internet avevo capito la gravità della situazione: la sentenza era praticamente “di morte”».

È il racconto di Monica Forchetta, oggi presidente dell’Associazione di Pazienti APaIM (Associazione Pazienti Italia Melanoma), che ha voluto fondare per dare speranza e fiducia ai pazienti nella sua stessa situazione. «Oggi per fortuna esistono farmaci a bersaglio, che colpiscono in modo selettivo le cellule tumorali. Nel mio caso, ho avuto un tipo di melanoma con una mutazione genetica particolare che rispondeva molto bene a una “terapia target” in grado di bloccare completamente l’attività di quel gene mutato che favoriva la replicazione delle cellule tumorali. Da sette anni sto assumendo questa terapia, con una pastiglia al giorno, che ha bloccato l’evoluzione della malattia. Oggi ho 36 anni e una magnifica bambina di 9 anni e sono in ottima salute. In occasione di questo nuovo anno, vorrei lanciare un messaggio di incoraggiamento a tutte le persone che si trovano nelle mie stesse condizioni: non scoraggiatevi e soprattutto non lasciatevi suggestionare da ciò che si legge su Internet. Il melanoma oggi si può curare! “Ciò che segna, insegna”: è stato il mio motto e anche il nome della prima associazione di pazienti, che ora è diventata APaIM.  Abbiamo promosso tante Campagne di informazione e sensibilizzazione della popolazione sulle regole per esporsi al sole senza rischi e per individuare precocemente il cambiamento di un neo. In questi anni abbiamo organizzato quasi 2 mila visite gratuite, grazie alle quali sono stati individuati 90 melanomi. Il nostro obiettivo è anche informare le persone sulle terapie mirate che oggi sono in grado di cronicizzare la malattia. E soprattutto cerchiamo di indirizzare chi ha il problema ai Centri specializzati dove queste cure vengono garantite. Informiamo anche i pazienti sull’eventualità di essere inseriti nei protocolli di studi clinici per la sperimentazione di nuove terapie: un modo per velocizzare la somministrazione di nuovi farmaci e garantire al paziente la migliore qualità di cura».

«I più recenti progressi nella cura del melanoma vengono dall’immuno-oncologia, che ha dimostrato risultati importanti nel tumore in fase metastatica, dove rappresenta lo standard di cura», puntualizza il professor Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione “Pascale” di Napoli. «Oggi abbiamo la possibilità di anticipare il trattamento nei pazienti operati, a uno stadio di malattia III e IV. Già allo stadio III, il tasso di recidiva a 5 anni è elevato e va dal 71 all’85%. Trattare i pazienti in questo stadio aumenta la possibilità di evitare una recidiva della malattia e, quindi, potenzialmente di guarire la persona. In Italia, 12.300 sono i nuovi casi di melanoma e più di mille pazienti ogni anno potrebbero beneficiare di questo trattamento».

«Questo nuovo farmaco, Nivolumab, è in grado di potenziare l’attività del nostro sistema immunitario contro le cellule tumorali. Nello studio CheckMate-238, ha dimostrato un beneficio a lungo termine, con una sopravvivenza libera da malattia a tre anni del 58% e una riduzione del rischio di recidiva pari al 32%», aggiunge il professor Ascierto. «Anche la sopravvivenza senza metastasi a distanza è significativamente più lunga con Nivolumab, con tassi a 36 mesi del 66%. Questi vantaggi, che avranno un impatto sulla sopravvivenza globale, sono osservati in tutti i pazienti analizzati, indipendentemente dallo stadio e dal tipo della malattia».

«Da 20 anni non ci sono stati passi in avanti nel trattamento adiuvante: le uniche due terapie approvate, a base di interferone, erano associate a elevata tossicità e a scarsi vantaggi in termini di sopravvivenza globale», aggiunge il professor Ascierto. «Nivolumab, oltre a un’elevata efficacia, garantisce una buona qualità di vita grazie all’ottima tollerabilità. La terapia adiuvante con Nivolumab dovrebbe essere iniziata il prima possibile, subito dopo l’asportazione del tumore: il trattamento dura solo un anno. La prospettiva di una “fine” della terapia rappresenta un notevole vantaggio psicologico per i pazienti. Questi farmaci hanno infatti la capacità di sviluppare una “memoria” nel sistema immunitario, che mantiene la capacità di eliminare le cellule tumorali a lungo termine, anche dopo l’interruzione della terapia».

Lo studio CheckMate-238 ha portato all’approvazione da parte della Commissione Europea, nel luglio 2018, dell’utilizzo di Nivolumab nel trattamento adiuvante dei pazienti adulti con melanoma, con coinvolgimento di linfonodi o malattia metastatica, dopo intervento di asportazione. Sono stati coinvolti più di 900 pazienti e i risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine. La prima molecola immuno-oncologica, ipilimumab, aveva ottenuto la rimborsabilità da parte di AIFA per il trattamento del melanoma metastatico nel 2013. Nivolumab è stato rimborsato in Italia per il trattamento del melanoma nel 2016 e oggi è disponibile per i pazienti anche in altre patologie tumorali come carcinoma del polmone, carcinoma del rene, tumore della testa e del collo e linfoma di Hodgkin.

«In Italia abbiamo fornito farmaci per oltre 5.000 pazienti con diverse forme di tumore, in particolare nel carcinoma del polmone, del rene, melanoma e linfoma di Hodgkin», ha precisato il dottor Cosimo Paga, direttore medico di BMS Italia. «In questo modo, si è offerta la possibilità di accesso in tempi rapidi a terapie efficaci e già approvate negli Stati Uniti e in Europa, prima della conclusione dell’iter di rimborsabilità in Italia. «Anche nel setting adiuvante abbiamo avviato un programma terapeutico, garantendo a circa 700 pazienti di poter accedere gratuitamente a questo  farmaco prima della rimborsabilità AIFA. In questo programma l’Istituto Pascale è stato il primo ospedale in Italia che ha arruolato 80 pazienti, dimostrandosi un centro di eccellenza per il trattamento del melanoma in Italia».

di Paola Trombetta

 

Una “terapia di precisione”, da poco approvata dall’AIFA

La medicina di precisione diventa sempre più realtà nella cura del melanoma, con farmaci in grado di colpire un bersaglio specifico. Già utilizzati nel trattamento dei pazienti con metastasi, hanno dimostrato di essere efficaci anche prima che la malattia si ripresenti. La combinazione Dabrafenib + Trametinib è oggi disponibile come trattamento adiuvante nei pazienti con melanoma al III stadio, ovvero ad alto rischio, positivi per la mutazione BRAF, dopo asportazione chirurgica. Nei pazienti che presentano questa variazione del DNA (circa il 50%) la combinazione di Dabrafenib + Trametinib si è dimostrata efficace nel ridurre notevolmente il rischio che il tumore si ripresenti. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha di recente approvato la rimborsabilità di Dabrafenib + Trametinib per il trattamento del melanoma adiuvante.

«Oggi, grazie alla diagnosi precoce e ai progressi della ricerca scientifica possiamo dire di aver riscritto la storia di questa malattia», fa notare Paola Queirolo, Direttore della Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari – Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Stiamo  vivendo un nuovo capitolo della cura del melanoma, in cui l’avvento della medicina di precisione ha permesso di avere cure efficaci. Con la combinazione Dabrafenib/Trametinib, dopo la cronicizzazione della malattia in fase avanzata (IV stadio), possiamo aumentare la probabilità di guarigione dei pazienti con malattia allo stadio III e con mutazione BRAF, che potenzialmente hanno un maggiore rischio di recidiva».

«Il trattamento con Dabrafenib e Trametinib si è dimostrato efficace perché agisce in maniera selettiva “spegnendo” l’attività della proteina BRAF, generata a seguito della mutazione genica, bloccando l’evoluzione del tumore e garantendo un’elevata efficacia e una maggiore aspettativa di vita, nelle fasi più precoci del melanoma, riducendo il rischio di recidive», commenta Michele Del Vecchio, Responsabile dell’Oncologia Medica Melanomi, Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano.

La nuova indicazione Dabrafenib + Trametinib, come trattamento precauzionale da somministrare dopo l’asportazione chirurgica nei pazienti ad alto rischio di recidiva, si basa sui risultati dello studio COMBI-AD. Rispetto al placebo, la combinazione ha prodotto un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da recidiva (59% a tre anni contro il 40% del placebo), riducendo del 51% il rischio di recidiva. Nei pazienti trattati con Dabrafenib + Trametinib il tasso di sopravvivenza globale a 3 anni è stato dell’86% rispetto al 77% del placebo.  P.T.

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