Da Rovigo a New York per studiare le cellule staminali

Doveva essere un anno di studio a New York, durante il dottorato. E invece si è trasformato in una nuova vita professionale dedicata alla ricerca sulle cellule staminali. Oggi Valentina Fossati , 41 anni,  nativa di Rovigo, è “Principal investigator” presso il New York Stem Cell Foundation Research Institute. Donna in salute l’ha incontrata a Milano in occasione della presentazione del libro Curarsi nel futuro (Zanichelli), scritto a quattro mani con la giornalista scientifica Angela Simone (le due autrici si sono conosciute sui banchi dell’università a Bologna, al corso di laurea in Biotecnologie). Per fare un po’ di chiarezza sui risultati ottenuti dalla ricerca sulle cellule staminali, le terapie ormai consolidate, gli esperimenti che autorizzano a nutrire qualche speranza.

Valentina, innanzitutto com’è arrivata da Rovigo a New York?
«Ho ottenuto un dottorato presso l’Università di Bologna e ho proseguito gli studi di post-dottorato presso la Mount Sinai School of Medicine di New York. Sono andata negli Stati Uniti perché volevo fare un’esperienza all’estero, volevo provare a lavorare in un laboratorio che non avesse grosse restrizioni di budget e che fosse all’avanguardia nella ricerca. Mi interessava sviluppare di più lo studio sulle cellule staminali, cosa che in Italia non avrei potuto fare, viste le restrizioni sull’uso delle cellule staminali embrionali. C’era una quantità enorme di cose da scoprire».

Qual è il suo campo di ricerca?
«La ricerca è iniziata con lo studio delle cellule staminali adulte, mesenchimali ed ematopoietiche, per poi focalizzarmi sulla rigenerazione delle cellule del cervello distrutte dalla sclerosi multipla. Il fine ultimo è quello di testare nuovi farmaci che proteggono le cellule nervose dall’attacco del sistema immunitario. Facciamo inoltre ricerca su altre patologie neurodegenerative, a partire dalla malattia di Parkinson, Alzheimer, incluse alcune rare come la Charcot-Marie-Tooth».

Come spiegherebbe in parole semplici cosa sono le cellule staminali?
«Si potrebbe  dire che sono “microscopici mattoncini di ricambio del nostro corpo”.  Semplificando molto, possono essere divise in due grandi famiglie: le cellule staminali embrionali,  ottenute da cellule degli embrioni umani ai primissimi stadi dello sviluppo, che vengono definite “multipotenti” perché hanno la stupefacente proprietà di poter generare tutti i tipi di tessuti: dalla pelle al sangue, dal cuore al fegato, dal cervello ai muscoli e così via. E le cellule staminali  unipotenti, provenienti da un tessuto adulto, che  possono trasformarsi in cellule solo di alcuni organi o tessuti, ma non di tutti».

Perché le cellule che lei studia sono tanto interessanti per la scienza?
«L’enorme potenzialità delle staminali risiede nella loro capacità di autorinnovarsi e differenziarsi in diversi tipi di cellule che compongono i tessuti e gli organi. Per anni abbiamo riparato organi danneggiati o semplicemente bloccato la progressione di malattie con farmaci più o meno costosi. La medicina del futuro sfrutterà  le capacità del nostro organismo di rigenerarsi per poter curare tante patologie, attraverso le cellule staminali adulte presenti nei tessuti e in grado di autorinnovarsi».

A che punto è la ricerca?
«La ricerca in questo campo sta avanzando a passi da gigante. Una svolta fondamentale si è avuta con la sensazionale scoperta del ricercatore giapponese Shinya Yamanaka (che sei anni più tardi gli è valsa il premio Nobel  in fisiologia e medicina, con il britannico John Gurdon ) quando, nel 2006, ha trovato il modo di riportare cellule staminali adulte, già specializzate, allo stato embrionale, grazie all’inserimento artificiale di 4 geni, ottenendo così nuove cellule pluripotenti. Furono chiamate iPSC ossia “Cellule Staminali Pluripotenti Indotte”, da cui la sigla Ipsc (Induced Pluripotent Stem Cells). Prima di questa scoperta le cellule staminali indifferenziate potevano essere ottenute solo attraverso la distruzione degli embrioni. Queste nuove cellule prodotte in laboratorio sono  libere dai dilemmi etici».

Quali sono le aree di applicazione clinica, le speranze per il domani?
«E’ già realtà da diversi anni l’uso del trapianto di cellule staminali emopoietiche (quelle che formano il sangue) dal midollo osseo per curare linfomi e la rigenerazione della pelle e della cornea. Ogni altra applicazione resta ancora sperimentale. Terapie promettenti si profilano nella cura di malattie ossee e delle articolazioni. Si spera di ottenere risultati per gravi malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson, Sclerosi Multipla, Distrofia muscolare. Molto lavoro resta ancora da fare a ricercatori e medici per valutare, attraverso le sperimentazioni su gruppi di pazienti, eventuali effetti collaterali e garantire la sicurezza di questa tecnica. I fattori di rischio sono legati alla possibilità di uno sviluppo cellulare incontrollato, con la conseguente possibile crescita di tumori.  Ed è per questo che migliaia di ricercatori lavorano, per trovare delle risposte. Mi fa piacere dire che c’è una vasta rete di collaborazioni internazionali dei gruppi di ricerca, focalizzata a raggiungere questo scopo».

La prossima sfida?
«Produrre nuove terapie non basta. La prossima sfida è l’accesso su grande scala alla terapia che ne deriva. Ha senso investire milioni di dollari (pubblici e privati) per arrivare a terapie avanzatissime se poi sono talmente costose da non poter essere commercializzate? Il caso non ipotetico è avvenuto nel 2017 per Glybera, la prima terapia genica approvata dalle autorità europee: una somministrazione del farmaco prodotto dall’olandese UniQure, costava un milione di dollari. Malgrado i risultati interessanti, occorre ancora studiare per “riuscire a bilanciare il rapporto costi/benefici”, per  garantire la sostenibilità economica (e quindi la messa in commercio) di queste nuove cure e la loro accessibilità a tutti».

Le cure con infusioni di cellule staminali alimentano tanti viaggi della speranza all’estero, in cliniche che promettono cure miracolose che si rivelano poi truffe. Come difendersi da chi lucra sulla disperazione dei malati?
«Occorre la massima diffidenza verso chi offre trattamenti miracolosi a caro prezzo. Bisogna  documentarsi bene, con l’aiuto di una persona competente o del medico di famiglia. Chiedere informazioni dettagliate su quali cellule staminali vengono utilizzate e le procedure usate in laboratorio, gli studi che attestino la credibilità scientifica della terapia: senza queste informazioni le probabilità di una truffa sono altissime. A questo riguardo la Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali (I.S.S.C.R.), la massima autorità mondiale nel settore, ha formalizzato un vademecum che consente a chiunque di distinguere tra sperimentazioni con fondamento scientifico e truffe».

di Cristina Tirinzoni

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