Tumore al Pancreas: una nuova combinazione di farmaci aumenta la sopravvivenza

«Non ho mai chiesto ai medici da cui ero in cura quanto mi restava da vivere. Perché sapevo benissimo che di tumore al pancreas si muore. L’intervento di asportazione è avvenuto otto anni fa: poi la chemioterapia a dosi massicce e la radioterapia. Da sette anni i controlli hanno dimostrato una remissione totale della malattia. Mi sento fortunato, anche se il “tagliando annuale” è sempre un punto interrogativo. Condivido il vissuto e le ansie di quelli che come me sono sopravvissuti alla malattia». È il racconto di un paziente, che ben si identifica nel video girato da Aldo Giovanni e Giacomo (link al video), per promuovere una raccolta fondi, a favore della ricerca indipendente, per conto dell’Associazione Codice Viola, che ha sviluppato tra l’altro anche una App “PanDi” scaricabile gratuitamente (www.codiceviola.org). E per focalizzare l’attenzione sulla malattia, nella serata del 21 novembre (Giornata del Tumore al Pancreas) verranno illuminati di viola i principali monumenti delle città italiane e nel mondo, un’iniziativa dell’Associazione Nastro Viola, che ha visto nel passato l’illuminazione di monumenti come l’Opera House a Sydney, la Torre Eiffel a Parigi, Trafalgar Square a Londra e le Cascate del Niagara negli USA. La Fondazione Nadia Valsecchi, inoltre, ideatrice di #TodayIWearPurple, ossia “Oggi mi vesto di viola”, promuove la Giornata mondiale all’interno delle palestre. Il mantenimento di una forma adeguata attraverso l’esercizio fisico, associato a una corretta alimentazione, sono azioni concrete per ridurre le complicanze legate alla terapia oncologica e contribuire al benessere del paziente (www.fondazionevalsecchi.org).

In Italia il tumore del pancreas è la quarta causa di morte per tumore, ma potrebbe diventare la seconda: ogni anno si ammalano circa 13.500 persone; nel 2016 i decessi sono stati più di 12 mila e sappiamo che questo numero è destinato ad aumentare. Per oltre la metà dei pazienti la diagnosi avviene tardivamente, quando la malattia è in metastasi: pur avendo un’incidenza bassa (3% dei tumori maligni) l’impatto sui pazienti e le famiglie è devastante: la sopravvivenza a 5 anni è dell’8%. Se invece il tumore viene identificato in uno stadio precoce, in assenza di metastasi, la sopravvivenza raggiunge il 37,4%, numeri ben distanti dalla sopravvivenza per tumore al seno non metastatico (98,8%).

«La “fatica di decidere” è l’espressione che meglio rivela lo stato d’animo di chi deve affrontare questo tipo di malattia, completamente impreparato», spiega Piero Rivizzigno, Presidente dell’Associazione Codice Viola. «Il nostro sforzo è quello di alzare l’attenzione su questa patologia: allo stato attuale può essere considerata una vera emergenza sanitaria che mette a rischio la vita dei pazienti, non solo perché ha la peggiore prognosi fra i tumori solidi, ma anche perché ci sono purtroppo un numero limitato di protocolli di cura e centri ospedalieri non sufficientemente specializzati per una presa in carico efficace del paziente».

Oggi la chemioterapia è, con la chirurgia, la più importante arma a disposizione contro il tumore del pancreas. Due recenti studi indipendenti hanno dimostrato l’efficacia di una nuova associazione di quattro farmaci, PAXG (cisplatino, nab-paclitaxel, capecitabina, gemcitabina), che è stata approvata da AIFA a giugno 2019. In uno studio randomizzato di fase II, realizzato grazie al contributo dell’Associazione My Everest, questa combinazione ha ottenuto un miglioramento significativo della sopravvivenza (62% a 1 anno; 24% a 2 anni), rispetto allo schema con due soli farmaci AG (nab-paclitaxel e gemcitabina); ha anche aumentato la sopravvivenza libera da progressione (8.3 verso 6 mesi), le risposte radiologiche e la riduzione del marcatore tumorale. Vantaggi analoghi sono stati osservati anche nella malattia localmente avanzata (69% di pazienti vivi a 18 mesi con PAXG rispetto al 54% con gemcitabina e nab-paclitaxel).

«La commissione Tecnico-Scientifica di AIFA ha autorizzato lo schema terapeutico a inizio giugno 2019 e ci auguriamo che venga presto pubblicato in Gazzetta Ufficiale per poterlo utilizzare nella pratica clinica»,  spiega Michele Reni, Direttore del Programma di Coordinamento Clinico, Pancreas Center, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Questo cocktail di farmaci ha infatti indubbi vantaggi clinici: richiede solo 2 accessi ospedalieri mensili anziché 3 e, rispetto allo schema attuale, ha un costo inferiore del 15%. Non ultimo, è adatto anche per i pazienti con mutazione BRCA».

«Nel tumore al pancreas la chirurgia ha un ruolo fondamentale, ma non per tutti i tipi di tumore: solo il 15-20% dei pazienti è infatti operabile», puntualizza Gianpaolo Balzano, Responsabile dell’Unità Funzionale di Chirurgia Pancreatica, Pancreas Center, IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «In questi casi deve essere selezionato il paziente e soprattutto l’ospedale adeguato, in grado di eseguire almeno dieci interventi l’anno. Altrimenti si rischia di creare un danno peggiore al paziente!». Uno studio recente, coordinato dallo stesso Balzano, ha infatti evidenziato che ci sono 300 ospedali in Italia (il 77% delle strutture che eseguono resezioni pancreatiche) che realizzano in media solo 3 operazioni al pancreas all’anno, troppo poche considerando che si tratta di uno degli interventi più complessi di tutta la chirurgia addominale. «Se l’ospedale non ha l’esperienza sufficiente, il paziente potrebbe non ricevere un trattamento adeguato», commenta Balzano. «Il rischio più grave è la mortalità operatoria: lo studio ha evidenziato che in quei 300 ospedali la mortalità per resezione pancreatica è superiore al 10%, quindi 3 volte più alta rispetto ai centri con maggiore esperienza, dove si attesta al 3%. In alcuni ospedali questo rischio può essere addirittura superiore al 20 o 25%. C’è poi un altro pericolo, meno evidente ma altrettanto grave per il paziente, cioè che non vengano prese le decisioni corrette, come per esempio operare un paziente che non deve essere operato, con il rischio di diffusione delle cellule tumorali, non arrivare alla diagnosi in tempi adeguati o non somministrare la chemioterapia in modo adeguato».

Cosa fare allora? «Analogamente a quanto è stato fatto dalla Conferenza Stato-Regioni con l’istituzione delle “Breast Unit” nel 2014, dovrebbero essere create le “Pancreas Unit”, con precise linee di indirizzo organizzative e assistenziali», risponde Balzano. «Ogni Regione dovrebbe individuare le strutture appropriate, prendendo in considerazione sia un criterio di “volume minimo”, che la qualità delle prestazioni. L’ospedale dovrebbe garantire un basso tasso di mortalità operatoria e un team multidisciplinare con competenze specifiche proprio sulla patologia pancreatica, per la gestione della diagnosi, della cura e delle complicanze post-intervento».

di Paola Trombetta

 

Un’analisi tutta italiana su questo big-killer

E’ uno dei tumori più aggressivi e di difficile diagnosi. Il tumore al pancreas rimane asintomatico per lungo tempo: solo nel 7% dei casi viene diagnosticato allo stadio iniziale e circa l’80-85% non è operabile al momento della diagnosi. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è pari all’8% in Italia e al 6% nel mondo. Tra tutti i tumori che colpiscono il pancreas, l’adenocarcinoma è il tipo più comune. I dati dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) del 2018 riportano una prevalenza annua della patologia di 22 mila casi e un’ incidenza di 13.300 casi, pari al 3% di tutti i tumori. Quest’ultimo parametro risulterebbe in crescita nel 2019 (13.500 casi), tendenza che, se confermata, porterebbe l’adenocarcinoma pancreatico al secondo posto per mortalità tra tutti i tumori nel 2030. Sono i dati resi noti dallo studio “Gli unmet need nell’adenocarcinoma al pancreas: un’analisi a 360° con il paziente al centro” che ISHEO, Società di ricerca economico-sanitaria, ha realizzato con il Patrocinio di FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e delle Associazioni dei Pazienti Codice Viola e Nastro Viola, con il contributo incondizionato di Servier. Le sfide più grandi che emergono dal Report sono rappresentate dai fattori di rischio e dall’aspecificità dei sintomi che non consentono una diagnosi precoce; la maggior parte dei casi di adenocarcinoma giunge infatti a una prognosi quando il tumore è in fase avanzata. Anche l’analisi dei costi è stata argomento dello studio: la patologia impatta notevolmente in termini di costi diretti, indiretti e sociali. I pazienti con questo tumore e i rispettivi caregiver devono affrontare tante difficoltà, che vanno dalla gestione di una patologia scoperta in stadio avanzato, ai relativi trattamenti, chirurgici e farmacologici, oltre a una sintomatologia importante, che influisce in modo negativo, sullo stato fisico e mentale del malato e di chi se ne prende cura: in particolare, si evidenziano costi dovuti ai ricoveri, alla perdita di produttività dopo la diagnosi e per morte prematura. I pazienti, oltre a sottoporsi a controlli periodici dopo i trattamenti chirurgici e farmacologici, devono essere accompagnati nella gestione di paure e problemi relazionali indotti dalla malattia e, nel contempo, devono essere portati a valutare la necessità di sottoporsi a cure palliative a supporto del fine vita.  P.T.

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