Sole con cautela: attenti al melanoma

Con l’arrivo dell’estate, si ripropone ogni anno il problema della protezione solare e dei rischi che l’eccessiva esposizione comporta, fino al caso estremo del tumore della pelle più diffuso: il melanoma. In netto aumento negli ultimi 20 anni, è passato da un’incidenza di 5 casi su 100 mila negli anni ’90 a 20 casi su 100 mila oggi. Se tempo addietro la prevalenza era al femminile, oggi si registra un aumento nei maschi (dal 4 al 7%), soprattutto nella fascia d’età giovanile (prima dei 40 anni): il 20% dei nuovi casi è riscontrato in pazienti dai 15 e i 39 anni.

Quali consigli dare per la prevenzione e quali nuove cure in caso di malattia?

«La prima regola è la protezione solare, con creme ad alto indice protettivo, soprattutto per le carnagioni chiare, più a rischio di scottature», puntualizza Pietro Quaglino, professore associato di Dermatologia all’Università di Torino.«E’ consigliato applicare la crema almeno 20-30 minuti prima dell’esposizione, a dosi abbondanti, per consentire l’assorbimento e l’attivazione dei principi attivi. Evitare inoltre di esporsi al sole nelle ore più calde della giornata (dalle 12 alle 15). La carenza di ozono nell’atmosfera favorisce il passaggio di raggi solari in modo più diretto, che risultano così più intensi e dunque pericolosi. Per questo la protezione solare deve essere garantita, e la regola vale anche per la montagna o le gite in bicicletta: l’intensità degli UVB aumenta con l’altitudine e, anche nei casi di esposizione saltuaria, ma cumulativa, occorre proteggersi. Se la carnagione è chiara, la protezione solare deve essere aumentata. Si consiglia inoltre una visita di controllo annuale dei nei da parte del dermatologo, a partire da 18-20 anni, soprattutto in presenza di cambiamenti nella forma, dimensione o colore di un neo: sono segnali d’allarme da non sottovalutare. Vale la regola dell’A, B, C, D, E: Asimmetria nella forma; Bordi frastagliati; Cambiamento di colore; Dimensioni superiori a 6 mm; Evoluzione anomala. Per questo è importante investire in campagne di prevenzione, seguendo l’esempio dell’Australia, in testa alla classifica mondiale per incidenza. Oggi, grazie all’impegno delle Istituzioni nei progetti di informazione, è l’unico Paese al mondo in cui il numero dei nuovi casi di melanoma è in diminuzione».

Anche in Italia sono state fatte Campagne di prevenzione, come “Il Sole per Amico”. Lo scorso mese è partita una nuova Campagna #soleconamore, realizzata da Fondazione AIOM, rivolta soprattutto agli adolescenti, itinerante nelle principali spiagge italiane, con distribuzione di opuscoli informativi. La prima tappa è stata Rimini (27-28 luglio); il 3-4 agosto approderà sul lungomare di Fregene. Da un recente sondaggio, diffuso sui social a cui hanno risposto circa 3.500 adolescenti, solo il 10% afferma che è “cool” spalmarsi la crema solare in spiaggia. I giovani ignorano le regole fondamentali per esporsi al sole in modo sicuro: quasi il 40% non mette mai la crema protettiva in spiaggia, per oltre la metà (51%) utilizzarla è “da sfigati” perché impedirebbe di abbronzarsi. Solo il 18% sa cos’è il fototipo (per il 53% è un tipo di immagine, per il 16% una tecnica di selfie e per il 13% una tonalità di colore dei fiori). Il 63% ritiene che le lampade solari aiutino ad abbronzarsi meglio (per il 28% proteggono la pelle dai raggi del sole, solo il 9% afferma che in realtà fanno malissimo). Eppure l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) si è espressa da anni sulle lampade abbronzanti, considerate cancerogene al pari del fumo di sigaretta e dal 2011 il Ministero della Salute ne ha vietato l’uso ai minorenni e alle donne in gravidanza. Un ultimo dato emerso dall’indagine è che 48% degli adolescenti non sa cosa sia il melanoma (per il 24% è un problema alimentare).

Nuove prospettive di cura dall’immunoterapia

Oggi in Italia il melanoma è il secondo tumore più diffuso negli uomini sotto i 50 anni e il terzo nelle donne: 150 mila persone, di cui 80 mila donne, convivono con questo tumore che ha fatto registrare, lo scorso anno, ben 13.700 nuovi casi. Da oggi nuove prospettive di cura provengono dall’immunoterapia. Ogni anno più di mille pazienti colpiti da melanoma potrebbero beneficiare di un trattamento “precoce” con i farmaci immuno-oncologici, subito dopo l’intervento chirurgico, la cosiddetta terapia adiuvante, per prevenire la recidiva del tumore o lo sviluppo di metastasi. «L’immuno-oncologia ha già dimostrato risultati importanti nella fase metastatica, dove rappresenta lo standard di cura», spiega la professoressa Paola Queirolo, responsabile scientifico del Progetto #soleconamore e Direttore della Divisione Melanoma, Sarcoma e Tumori rari all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Oggi la sfida è di poter anticipare il trattamento in alcuni pazienti in stadio III e IV, dopo che il tumore è stato completamente asportato, per aumentare la possibilità di evitare una recidiva o la ricomparsa della malattia e, quindi, potenzialmente di curare il paziente». La Commissione Europea, nel luglio 2018, ha approvato l’utilizzo di nivolumab nel trattamento adiuvante dei pazienti adulti con melanoma, con coinvolgimento di linfonodi o malattia metastatica, che sono stati sottoposti a resezione completa. L’approvazione si è basata sui risultati dello studio di fase III CheckMate -238, pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine. Nei prossimi mesi è attesa la decisione sulla rimborsabilità da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

«I risultati dello studio CheckMate -238, che ha coinvolto 906 pazienti con melanoma in stadio III B/C o IV ad alto rischio di recidiva, dimostrano che il trattamento precoce con nivolumab, dopo la resezione chirurgica, determina un significativo miglioramento dei tassi di sopravvivenza libera da recidiva: a 24 mesi il 63% dei pazienti trattati non ha avuto ricomparsa della malattia», puntualizza il dottor Michele Del Vecchio, responsabile Oncologia Medica Melanomi, Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, che è stato il “principal investigator” per l’Italia dello studio CheckMate -238. «I risultati ottenuti indicano che questo trattamento adiuvante può cambiare il decorso della neoplasia, prevenendo le recidive e la progressione a uno stadio più avanzato. Questo significa che sempre meno pazienti svilupperanno metastasi».
«La durata del trattamento con nivolumab è solo di un anno», aggiunge la professoressa Queirolo. «La prospettiva di una “fine” della terapia, di solito non possibile nella malattia metastatica, rappresenta un notevole vantaggio psicologico per pazienti, spesso giovani. Questi farmaci hanno la capacità di sviluppare una memoria nel sistema immunitario, che mantiene la capacità di eliminare le cellule tumorali a lungo termine, anche dopo l’interruzione della somministrazione. E sembrano addirittura dare migliori risultati nelle persone avanti negli anni. La prima molecola immuno-oncologica approvata, ipilimumab, aveva già dimostrato importanti successi: il 20% delle persone colpite dalla malattia in fase metastatica è vivo a 10 anni dalla diagnosi. Per nivolumab, il follow up degli studi arriva a 4 anni con il 46% dei pazienti vivi. Vorrei inoltre sottolineare come i nuovi farmaci immuno-oncologici hanno un ottimo profilo di tollerabilità: meno di due pazienti su 10 sviluppano eventi avversi che possono portare all’interruzione della somministrazione. Se identificati in tempo e trattati correttamente, la maggior parte degli effetti collaterali si risolve in poche settimane».

di Paola Trombetta

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