Malattie rare: terapie a domicilio, ancora non in tutt’Italia

«Da adolescente non sapevo di avere una malattia rara. Dai 10 ai 18 anni soffrivo di disturbi intestinali, con scariche diarroiche che si ripetevano durante i fine settimana. E una totale spossatezza, con bruciore a mani e piedi, tanto che non riuscivo a fare attività fisica, neppure a scuola. A ciò si aggiunsero disturbi all’udito e un sibilo costante che compariva in ambienti rumorosi, come la discoteca». È il racconto di Fabrizia (il nome è di fantasia), una paziente con malattia di Fabry, una patologia genetica rara, difficile da diagnosticare a causa dei diversi sintomi e della sua rarità. Siamo negli anni ’90, di malattie rare si conosceva ben poco e la diagnosi si faceva, ma con anni di ritardo. «Il medico all’epoca aveva diagnosticato una sindrome psicosomatica», prosegue. «Una diagnosi simile a quella di mia mamma, i cui problemi cardiaci, in aggiunta a mal di testa ricorrenti e vertigini, erano stati curati con antidepressivi. Finché un giorno, per puro caso, mio zio, fratello di mia mamma, ha avuto la fortuna di incontrare un medico che conosceva la malattia di Anderson Fabry che, nel suo caso, provocava problemi renali. Sottoposto al test genetico, per identificare la carenza dell’enzima alfa-galattosidasi, era risultato positivo. A questo punto i quattro fratelli di mia mamma e noi nipoti ci siamo sottoposti allo screening e 11 membri della nostra famiglia sono risultati positivi. La mia malattia era stata finalmente identificata: è la sindrome di Anderson Fabry, dal nome dello scopritore. Una patologia ereditaria, causata dalla mancanza dell’enzima alfa-galattosidasi, preposto all’eliminazione di proteine che, in questo caso, si accumulano nei vari organi, provocando nel tempo danni irreversibili. Non esiste una cura definitiva e, all’epoca, neppure una terapia in grado di fermare l’evoluzione della malattia, giunta solo nel 2001: si tratta della terapia enzimatica sostitutiva, cioè l’assunzione dell’enzima mancante per infusione, ogni 14 giorni, che viene somministrato per un periodo iniziale in ospedale e successivamente a domicilio, su indicazione del medico. Ma non ancora in tutte le Regioni italiane».
In occasione della Giornata delle Malattie Rare del 28 febbraio, quattro associazioni che rappresentano i pazienti lisosomiali (Fabry, Gaucher, MPS, Glicogenosi)  hanno inviato agli Assessorati alla Sanità delle sei Regioni italiane  (Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Toscana, Trentino Alto Adige e Umbria), dove non è ancora garantita la somministrazione domiciliare della terapia, la proposta di un’intesa che impegni gli amministratori ad attivare questa procedura per tutti i pazienti affetti da malattie da accumulo lisosomiale.
«E’ nostro obiettivo consentire a tutti questi pazienti di poter accedere alle cure domiciliari, se non ci sono controindicazioni dello specialista, con innegabili vantaggi di qualità della vita e minori rischi di perdita del lavoro», commenta Stefania Tobaldini, presidente dell’Associazione Italiana Anderson Fabry (AIAF Onlus- www.aiaf-onlus.org). «Molti pazienti, infatti, hanno difficoltà a raggiungere le strutture ospedaliere per la cura, che prevede infusioni che possono durare dalle due alle sei ore. La terapia domiciliare rappresenta un grosso risparmio per i sistemi sanitari regionali, che può arrivare anche al 70% delle spese sostenute per il day-hospital, come è avvenuto nella Regione Veneto dove vivo».

Cosa sono in realtà le malattie da accumulo lisosomiale? Se n’è parlato in occasione dell’evento “Raccontare la rarità: malattie rare, pazienti e media” che si è tenuto di recente a Roma, con il contributo di Shire Italia (Takeda). «Sono causate dall’assenza o carenza di enzimi che favoriscono la distruzione dei materiali di scarto della cellula, all’interno dei lisosomi, corpuscoli che hanno la funzione di “spazzini”», puntualizza il professor Maurizio Scarpa, responsabile del Centro di coordinamento regionale per le Malattie rare del Friuli Venezia Giulia, che ha sede a Udine. «Gli enzimi lisosomiali sono un centinaio e le malattie rare, legate alla mancanza di uno o più di questi enzimi, una settantina. Il mancato smaltimento dei materiali di scarto provoca un accumulo di sostanze nei vari organi, con disturbi più o meno gravi che possono interessare l’apparato respiratorio, cardiaco, renale, digerente, ma anche il tessuto muscolare, vascolare e la pelle, che si copre spesso di macchie rossastre (angiocheratomi) preziosi indizi di malattia, tanto che lo scopritore Fabry la chiamò inizialmente “Purpurea emorragica”.
Ad essere colpiti sono soprattutto i maschi, in quanto la malattia è legata all’alterazione di un gene presente sul cromosoma X. Nelle femmine si presenta in forme più lievi e l’aspettativa di vita è di 75 anni contro i 58 negli uomini. Tra le più note sindromi da accumulo lisosomiale, la glicogenosi, la mucopolisaccaridosi, le malattie di Fabry e di Gaucher. In alcuni casi più gravi, compaiono problematiche come dismorfismo facciale o ritardo mentale, segnali evidenti di malattia. Queste patologie non vengono facilmente diagnosticate: abbiamo in cura proprio in questi giorni una signora di 70 anni che, da quando era bambina, soffriva di disturbi intestinali e dolori alle mani, con diagnosi varie di coliti, endometriosi, artrite. Al test genetico è invece risultata affetta dalla malattia di Fabry e sta ora iniziando la terapia di infusione dell’enzima mancante».

«Un tempo, prima di riconoscere questo gruppo di patologie, potevano trascorrere anche 50 anni», aggiunge il professor Raffaele Manna, responsabile del Centro ricerche sulle Malattie rare del Reparto di Medicina interna del Policlinico Gemelli di Roma. «Oggi una maggiore informazione, una più attenta visita clinica e anamnestica, consentono di individuarle precocemente, anche se di solito passano dai 5 ai 7 anni: la conferma avviene con il test genetico che evidenzia l’assenza di uno o più enzimi. I progressi della medicina hanno permesso di intraprendere diverse terapie specifiche, tra cui l’infusione dell’enzima mancante, come per la Fabry: deve essere fatta ogni 14 giorni e si sta studiando un farmaco “pegillato” mensile. Un altro filone di cura riguarda l’utilizzo di alcune sostanze che evitano l’accumulo del materiale di scarto. E non da ultimo, si sta cercando di correggere la mutazione genica che causa la mancata produzione di questi enzimi. La ricerca è comunque attiva su questi fronti. E le associazioni di pazienti si stanno impegnando per rendere accessibili a tutti i malati queste cure».

L’Italia è l’unico Paese europeo ad avere una Legge sulle Malattie Rare che prevede una rete di Centri specializzati e la possibilità di effettuare lo screening neonatale per individuare 40 malattie rare. «Sarebbe però necessario ampliare lo screening a tutte quelle patologie che hanno o avranno terapie. E soprattutto renderlo accessibile in tutte le Regioni»,  puntualizza Flavio Bertoglio dell’Associazione Italiana MPS (mucopolisaccaridosi). «E’ inoltre importante sensibilizzare i medici e informarli dell’esistenza di queste malattie e delle possibili cure, per poter abbreviare i tempi della diagnosi e ottimizzare l’attività del Centri specialistici in tutte le Regioni», aggiunge Fernanda Torquati, Presidente dell’Associazione Italiana Gaucher. «Questo potrebbe evitare i lunghi ed estenuanti pellegrinaggi da un centro all’altro, come ho fatto con mio figlio che, da Firenze prima e Pavia poi, con un consulto persino in Israele, siamo approdati dopo 7 anni all’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste dove abbiamo finalmente avuto la diagnosi».

di Paola Trombetta

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