Giornata dell’epilessia: tante conquiste, ancora troppe attese

“Quando mi è stata diagnosticata l’epilessia, diversi anni fa, mi sono sentita emotivamente sola”, racconta Anna. “All’epoca, non c’erano molte opportunità di informarsi sulla malattia o condividere la propria condizione con altri. All’inizio ho deciso di non comunicare la mia problematica, non per vergogna, ma perché non volevo sentirmi limitata nel vivere la “normale” quotidianità, né volevo leggere la pietà negli occhi dei colleghi quando mi capitava una crisi sul posto di lavoro. L’interesse e l’attenzione attuali alla malattia sono cambiate e anch’io mi sono impegnata a diffondere, con l’organizzazione di eventi sul territorio, attraverso la mia voce e quella di altri pazienti, una corretta informazione sull’epilessia e i nostri bisogni”. Atteggiamenti di apertura che si sono tradotti in una maggiore e migliore “sensibilità” alla malattia: la ricerca ha messo a punto nuovi farmaci efficaci, maneggevoli per il paziente, con limitati effetti collaterali. Stanno aumentando i Centri di alta specialità, distribuiti da Nord a Sud dello stivale, in grado di offrire diagnosi e terapie “mirate” in funzione del tipo di epilessia (che sono diverse e complesse, contrariamente a quanto si pensi), del “genere” di paziente (uomo o donna) e dell’età, tenuto conto anche dell’integrazione sociale e di altre problematiche concomitanti; sono state istituite comunità social e associazioni di pazienti aperte al dialogo e al confronto. Eppure, nonostante questi miglioramenti riconosciuti, ancora non basta: lo denunciano esperti, pazienti e associazioni in occasione della Giornata Internazionale dell’Epilessia (11 Febbraio), caratterizzata quest’anno dal claim #epilessianonmifaipaura.

L’epilessia ha esigenze prioritarie e maggiori, prima fra tutte la corretta informazione, anche in funzione dei numeri importanti della problematica: «L’epilessia è tra le malattie neurologiche più diffuse, tanto da essere riconosciuta dall’Oms come malattia sociale», spiega Oriano Mecarelli del Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università La Sapienza di Roma e Presidente della Lega Italiana contro l’Epilessia (LICE). «Solo in Italia interessa 500 mila persone, in prevalenza maschi, probabilmente sottostimati perché spesso l’epilessia è nascosta per pregiudizi psicologici e sociali e registra ogni anno circa 36 mila nuovi. Questi sono più frequenti nei bambini, che sviluppano spesso la problematica nel primo anno di vita a causa di una componente genetica o una sofferenza perinatale, e nei senior a seguito delle maggiori aspettative di vita e patologie quali ictus cerebrale, malattie neurodegenerative, tumori e traumi cranici di cui l’epilessia può essere una conseguenza». Manca ancora il giusto approccio clinico a una malattia che resta difficile e cronica, con un forte impatto sulla limitazione delle attività quotidiane, la qualità di vita e sulla famiglia e i care-giver.

«La maggior parte delle epilessie – aggiunge Laura Tassi del Centro Chirurgia Epilessia “Claudio Munari” dell’Ospedale Niguarda di Milano e Vice Presidente LICE – non guarisce spontaneamente, ma richiede una terapia farmacologica per tutta la vita, con l’aggravante che nel 40% dei casi diventa farmacoresistente, senza risposta alle terapie, obbligando il paziente a non restare mai solo e a dover essere inserito in percorsi di cura precoci e condivisi. L’unica terapia risolutiva, in grado di liberare il paziente dalla malattia, è la chirurgia, praticabile però solo in alcune forme. Il nostro auspicio è che si possa cambiare la cultura dell’epilessia e venga proposto come primo approccio terapeutico, laddove possibile anche nei bambini, l’intervento chirurgico che richiede la rimozione della zona cerebrale in cui è focalizzato il “focus” epilettico».
Eppure al giusto approccio terapeutico si arriva spesso con un ritardo anche di 25 anni, perché meno del 10% dei pazienti è seguito da un centro specializzato: presenti, ma ancora insufficienti, sul territorio nazionale. Non sempre i pazienti sono inviati dal medico curante o per la difficoltà di accesso, a causa di liste di attesa troppo lunghe e conseguenti ripercussioni sugli esiti della terapia. Non ci sono però solo carenze nell’approccio a questa malattia. Esistono anche “elementi di soddisfazione”, tra cui i nuovi farmaci, come attestato da “Epineeds”, il primo studio multicentrico nazionale sui bisogni dei pazienti, realizzato dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e dall’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con la Federazione Italiana Epilessie e il contributo incondizionato di Ucb, che ha confrontato la voce di medici e pazienti interrogati su traguardi e attese relative all’epilessia. Lo studio ha coinvolto 21 Centri e 787 pazienti (432 donne e 355 uomini), di età compresa tra 15 e 88 anni, tutti affetti da epilessia e in trattamento. Dai dati emersi, il 90% dei pazienti e l’84% dei medici concordano sull’importanza di offrire e ricevere una terapia efficace nel controllo e riduzione delle crisi epilettiche, con rapidità di azione, priva di effetti collaterali e senza interazioni con altre problematiche in corso. Mentre restano ancora da colmare, almeno per i pazienti, le ricadute sulla maggiore partecipazione a attività quotidiane, sulla migliore qualità di vita e sulla buona informazione/comunicazione della malattia, coinvolgendo soprattutto le istituzioni quali Parlamento, Governo, Ministeri della Salute e dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Aspetti, questi ultimi, al centro del Libro Bianco sull’epilessia: «Si tratta di uno strumento di comunicazione e di advocacy – a aggiunto Rosa Cervellione, Presidente della Federazione Italiana Epilessie (FIE) – che vuole permettere alle persone con epilessia, ai loro caregiver, ai medici, ai ricercatori di presentare le proprie istanze alle Istituzioni, soprattutto riguardo la necessità di interventi legislativi, per tutelare il diritto alle cure e all’assistenza socio-sanitaria a chi soffre di questa malattia, e impedire la discriminazione in ogni ambiente, dalla scuola al lavoro, dallo sport e consentire la partecipazione attiva e sociale».
Valore aggiunto del libro bianco è l’inclusione di un rappresentante dell’Associazione Pazienti e di un Paziente Esperto EUPATI (European Patient Academy on Therapeutic Innovation), che abbia ricevuto  formazione specialistica adeguata, tale da portare una voce autorevole, facendosi portavoce dei bisogni del paziente. Affinché possa essere garantita più efficacia nella cura, più tutela della qualità di vita per ogni paziente o caregiver che si confronta con la malattia. Partendo dalla corretta gestione della crisi: gli esperti consigliano di filmare con il cellulare l’attacco, di non tentare di aprire la bocca ed estrarre la lingua (come normalmente si fa), di lasciare “sfocare” naturalmente la crisi e solo al termine posizionare il paziente su un fianco. Nei casi gravi occorre contattare tempestivamente il pronto intervento.

Per ulteriori informazioni su centri di cure dell’epilessia e la malattia: www.lice.it; www.fiepilessie.it

di Francesca Morelli  

Articoli correlati