“Gene Jolie”: ancora difficoltoso l’accesso al test BRCA

Sonia è stata operata di carcinoma all’ovaio ed è risultata positiva al test BRCA: dopo la chemioterapia, è entrata in una sperimentazione di un nuovo farmaco (olaparib) e dopo due anni la malattia non è più ricomparsa. Imma ha fatto il test perché ha avuto tre casi di morte per tumore in famiglia, ma per fortuna è negativa. Luisa ha avuto una figlia di 37 anni, morta per tumore all’ovaio, e ha deciso di sottoporsi al test, sia lei che l’altra figlia: entrambe sono negative. Anna ha fatto il test, risultato positivo, e ha deciso di sottoporsi alla mastectomia preventiva, perché la mamma era morta qualche anno prima di tumore al seno. Proprio come era successo cinque anni fa ad Angelina Jolie, alla quale nel maggio 2013 il famoso quotidiano The New York Times aveva dedicato la copertina, dal titolo “L’effetto Jolie”.
In questi cinque anni, sono stati fatti passi importanti, sia nella cura che nella prevenzione del tumore al seno e in particolare di quello all’ovaio, che rimane comunque tra quelli a più alta mortalità. L’avvento dei test genetici BRCA permette oggi di prevedere, diagnosticare precocemente e trattare al meglio molte forme di questo tumore. Ma in Italia solo una donna su 3 con questo tumore accede al test. Poca sensibilità dei medici e scarsa disponibilità nelle differenti Regioni sono le principali cause. Ne hanno parlato gli specialisti intervenuti al Corso di Formazione Professionale “Il caso Gene Jolie: come comunicare con chiarezza e rigore le opportunità dei test genetici nella lotta contro il tumore”, promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza, La Scienza nella Pratica Giornalistica, con il supporto non condizionante di AstraZeneca e MSD, che si è tenuto a Roma presso la Biblioteca Angelica.

«Secondo i dati del Registro dei tumori AIRTUM, ogni anno nel nostro Paese circa 5 mila donne ricevono una diagnosi di cancro dell’ovaio e circa 3 mila ne muoiono: la ricerca del gene mutato si pratica in meno del 70% dei casi, nonostante il suo grande valore predittivo e terapeutico», sottolinea Sandro Pignata, Direttore dell’Oncologia Medica Uro-Ginecologica, dell’Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli. «Questo test potrebbe essere un valido strumento per individuare le pazienti a rischio e poterle monitorare con maggiore frequenza e attenzione. L’alterazione dei geni BRCA 1 e 2 è presente in almeno cinque sottotipi di tumore all’ovaio, in particolare in quello sieroso, che è il più frequente: con queste alterazioni si aumenta di quattro volte il rischio di avere un tumore». Per questo le principali Società scientifiche, in occasione del recente congresso AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) che si è da poco concluso a Roma, hanno confermato l’importanza di fare questo test a tutte le donne con tumore ovarico. «Tra i principali motivi, la possibilità di estendere il test ai membri della famiglia della donna che ha avuto il tumore con l’alterazione e poter intervenire in modo preventivo, con un monitoraggio più attento», replica il professor Pignata. «Un secondo motivo è la possibilità di utilizzare farmaci più mirati. Tra questi, l’ultimo arrivato è olaparib, della classe dei Parp-inibitori: si tratta di molecole in grado di inibire l’enzima Parp, che favorisce la riparazione del Dna cellulare nelle cellule cancerogene. Inibendo questo enzima, le cellule non si riparano più e sono perciò destinate a morire. Dalle sperimentazioni appena concluse si è visto che questo farmaco, utilizzato dopo la chemioterapia, riduce del 70% il rischio di progressione del tumore e di mortalità e ha consentito una sopravvivenza libera da malattia a tre anni. Personalmente sto seguendo addirittura pazienti che non hanno più avuto la malattia da cinque anni, mentre prima la sopravvivenza era di soli 5 mesi! Attualmente il farmaco è in uso clinico in donne operate di tumore all’ovaio, che hanno fatto la chemio e hanno avuto una recidiva. Si spera al più presto di poterlo utilizzare anche in prevenzione primaria, come farmaco “di mantenimento”, subito dopo la chemioterapia, proprio per evitare le recidive, come avviene per il tamoxifene nel tumore al seno».

«Proprio i giorni scorsi abbiamo operato nuovamente una donna di 32 anni, BRCA mutata, per una recidiva di tumore all’ovaio», racconta la dottoressa Claudia Marchetti, ginecologa-oncologa al Policlinico Gemelli di Roma. «Se avessimo avuto a disposizione questi nuovi farmaci, forse questo secondo intervento non sarebbe stato necessario e la paziente sarebbe stata in remissione di malattia… Nel nostro reparto abbiamo una casistica molto vasta di donne con questo tumore, con approcci diversi dopo la diagnosi della mutazione BRCA. Non tutte le donne, infatti, hanno la convinzione di Angelina Jolie di effettuare una ovariectomia (anessiectomia) preventiva. E ci sono comunque altre possibilità di prevenzione, monitorizzando la paziente in modo continuativo, con scadenze più ravvicinate di esami strumentali come l’ecografia transvaginale. Per questo proponiamo il test genetico a tutte le donne con tumore all’ovaio. Abbiamo visto che la presenza di mutazione BRCA1 è legata al rischio di tumore all’ovaio in età molto giovane, intorno ai 35 anni, mentre la mutazione BRCA2 si ritrova di più nelle donne dopo i 50 anni e sembra essere più responsiva ai nuovi trattamenti. Abbiamo anche verificato che queste alterazioni sono presenti in altri tumori: oltre a seno e ovaio, a prostata e pancreas. Per essere certi della presenza di queste mutazioni, eseguiamo anche il test genetico sul tessuto tumorale, oltre che sul sangue periferico che, nel 3% dei casi, potrebbe dare falsi negativi».

Per informare le donne sull’importanza di eseguire questo test, soprattutto nelle famiglie dove è comparso uno o più tumori, soprattutto in età giovanile, Acto Onlus (Alleanza contro il cancro ovarico), con le sei Associazioni presenti sul territorio nazionale (Lombardia, Piemonte, Lazio, Puglia, Campania, Sardegna), dal 2010 organizza Campagne d’informazione, come la più recente: “Io scelgo di sapere”, in occasione della Giornata mondiale dell’8 maggio, visibile sul sito: www.actoonlus.it, per sensibilizzare le donne a sottoporsi consapevolmente al test. O ancora il Manifesto dei bisogni e dei diritti del pazienti, “Cambiare il futuro si può”, con i sette punti chiave per la prevenzione e la diagnosi.
«L’obiettivo primario delle nostre Campagne è l’informazione sul tumore all’ovaio e sulla possibilità di eseguire un test, come il BRCA, per valutare l’entità del rischio», precisa Nicoletta Cerana, presidente Acto Onlus nazionale. «Come ACTO siamo favorevoli a questi test predittivi, ma rispettiamo anche il diritto di non sapere. E soprattutto stiamo lavorando per far sì che tutte le donne che li richiedono, abbiano la possibilità di poterli effettuare in tutte le Regioni d’Italia. Un recente studio, Woman Survey 2018, su pazienti con tumore ovarico promosso dalla World Ovarian Cancer Coalition e presentato all’ultimo congresso ESMO di fine ottobre a Monaco, offre uno scenario sconfortante: il 70% delle donne non ha mai sentito parlare di questa malattia prima della diagnosi; solo il 54,7% delle pazienti è stata sottoposta al test genetico BRCA, percentuale che sale al 65,2% tra le pazienti italiane. Se alcune nazioni come gli Stati Uniti hanno un accesso al test genetico dell’80%, in Giappone non si arriva al 10%. L’Italia è perciò in una posizione intermedia. Preoccupante invece il dato del 91% di donne che non si sono sottoposte al test, nonostante la presenza di familiari con tumore BRCA mutato. Per questo la nostra associazione si propone di sensibilizzare sull’importanza di questo test che potrebbe veramente salvare molte vite! ».

di Paola Trombetta


Il ruolo dei media su tematiche così importanti e delicate

«È sempre più urgente ricostruire un’alleanza comunicativa tra medici e pazienti, dalla quale il giornalismo scientifico può trarre spunti positivi per portare nel modo giusto all’opinione pubblica le conoscenze, i progressi e le speranze», afferma Adriana Bazzi, giornalista scientifica del Corriere della Sera. «Nei casi particolari dei test genetici che servono a predire malattie, come per i geni BRCA 1 e 2, è fondamentale evitare false illusioni. Come era accaduto anni addietro per il test del PSA nel tumore alla prostata o la Tac spirale per il tumore al polmone: l’eccessiva pubblicità aveva indotto a fare troppi esami, non sempre utili e appropriati. E’importante invece presentare i reali vantaggi di eseguire test come BRCA e dare concrete aspettative alle donne che decidono di sottoporsi. Evitando sensazionalismi, come era accaduto dopo le dichiarazioni di Angelina Jolie sulla sua scelta di eseguire una mastectomia e due anni dopo un’anessiectomia radicale».
«Gli esperti di comunicazione scientifica si sono interrogati molto sull’effetto Jolie, sulla sua portata ed efficacia in termini di prevenzione e migliore cura», aggiunge Letizia Gabaglio, giornalista scientifica di Galileo Editori. «Senza dubbio il coinvolgimento di personaggi famosi favorisce la penetrazione del messaggio; tuttavia l’informazione giornalistica non può e non vuole esaurire alcun tema, meno che mai quelli medico scientifici di cui i pazienti dovrebbero parlare con i medici, trovando nuove e diverse forme di comunicazione».
P. T.

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