Malattie reumatiche: una donna su due teme la maternità

«Durante la gravidanza ho cominciato ad avvertire forti dolori alla schiena e alle gambe, tanto che faticavo a stare in piedi. Non avevo una diagnosi precisa: il medico aveva parlato di una lombo sciatalgia. Ma i dolori erano così forti che temevo di non riuscire a portare a termine la gravidanza. Ho avuto pure un distacco di placenta che mi ha costretto al riposo assoluto. Per fortuna mio figlio è nato, con un parto abbastanza travagliato perché non riuscivo ad avere le spinte e mi hanno dovuto somministrare l’ossitocina. Ho partorito ad aprile del ’98 e avevo 27 anni. I dolori però non cessavano, nonostante avessi fatto delle infiltrazioni di etere per attenuarli. Dopo diverse visite specialistiche, l’ortopedico a cui mi sono rivolta, che era stato anche il mio medico di famiglia, aveva confermato che non si trattava di un semplice problema osteo-articolare e mi aveva consigliato di rivolgermi a un reumatologo. Dopo aver completato tutti gli esami clinici consigliati, a giugno del 2000 mi è stata diagnosticata una Spondilite anchilosante, una forma di artrite di origine autoimmune che rientra nella classe delle malattie reumatiche infiammatorie croniche. Da allora sono in terapia, prima con metotrexate, poi con diversi farmaci biologici. Ma è stato difficile trovare la terapia adatta, perché ho avuto parecchi effetti collaterali. E tra un farmaco e l’altro ho avuto pesanti ricadute, che mi hanno costretta per certi periodi a camminare con le stampelle. Durante i primi anni di malattia, avrei desiderato avere un altro figlio, ma temevo che la mia malattia peggiorasse e ho così rinunciato, anche perché il mio medico di famiglia non è stato molto ottimista».
Silvia Tonolo, che oggi ha 47 anni e 20 anni di malattia alle spalle, è presidente di ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici): ha raccontato la sua esperienza in occasione del convegno che si è tenuto i giorni scorsi a Roma: “La salute della donna con malattie reumatiche croniche in età fertile. Il valore della medicina di genere”, organizzato da HPS-AboutPharma e ONDA (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), con il patrocinio di ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici), APMAR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare), GISEG (Gruppo Italiano Salute e Genere, Istituto Superiore di Sanità), SIDEMAST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse), SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie), SIR (Società Italiana di Reumatologia), con il contributo di UCB Pharma.


Sono 3 milioni e mezzo le italiane con malattie reumatiche e una donna su 2 teme di affrontare una gravidanza, per il rischio di peggiorare le sue condizioni cliniche. A ciò si aggiunge la paura di non essere in grado di accudire il proprio bambino a causa della malattia, il timore che la terapia farmacologica possa risultare dannosa per il bambino (32% dei casi), la preoccupazione di trasmettere al bambino la propria malattia (16% dei casi): le donne con malattie reumatiche sono condizionate in maniera negativa rispetto al loro desiderio di maternità tanto che più di una su 2 (55%) ha paura di diventare mamma per queste ragioni. È emerso dall’indagine condotta in 24 centri reumatologici di riferimento sul territorio nazionale italiano, su 398 donne con malattie reumatiche tra i 18 e i 55 anni. In Italia, secondo Istat, le malattie reumatiche rappresentano la condizione cronica più diffusa nella popolazione italiana e colpiscono 5 milioni e mezzo di persone; due su 3 sono donne. Dagli esperti presenti al convegno proviene però un forte richiamo: serve un approccio di genere e multidisciplinare, più informazione e sostegno alle future mamme, che devono essere a conoscenza della possibilità di trattamenti compatibili con la gravidanza, supporti assistenziali e Centri di riferimento di medicina di genere con competenze multidisciplinari per seguire la gravidanza delle donne con malattie reumatiche.

«Nell’immaginario comune le malattie reumatiche sono associate alla vecchiaia, ma sappiamo che prediligono le donne e si manifestano per lo più in età giovane, condizionando il sogno di diventare mamme», puntualizza Francesca Merzagora, Presidente di ONDA. «Diversi studi dimostrano che gli ormoni femminili giocano un ruolo importante nello sviluppo delle malattie reumatiche. Guardare la malattia “al femminile” , con un approccio di genere, è fondamentale: può migliorare la diagnosi e la terapia e permettere alle donne di programmare una vita familiare in tutta sicurezza».

«Lo specialista ha dunque un ruolo fondamentale in questo delicato momento della donna»,  sottolinea Angela Tincani, professore ordinario di Reumatologia, Università degli Studi di Brescia e Coordinatrice del Gruppo medicina di genere, SIR (Società Italiana di Reumatologia). «Per quanto non priva di rischi, con un’attenta gestione medica e ostetrica, la gravidanza può avere un esito favorevole: è necessario però programmarla in un periodo di remissione stabile della malattia. La gravidanza e alcune malattie reumatiche, come artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondiloartite, lupus eritematoso e sclerosi sistemica, si influenzano a vicenda, a volte con effetti positivi, altre con effetti negativi. La gestazione infatti può influire sul decorso della malattia che, a sua volta, se non ben controllata, può causare complicanze. Va però sfatato il preconcetto secondo cui, durante la gravidanza, non sia possibile praticare il trattamento appropriato: esistono farmaci che possono essere utilizzati in donne con malattie infiammatorie croniche prima e durante la gravidanza e continuati anche durante l’allattamento. Il trattamento deve essere però gestito e condiviso dal reumatologo e dal ginecologo. Purtroppo per molti anni le donne affette da malattie reumatiche non sono state informate in merito alla possibilità di affrontare una gravidanza in serenità e spesso è stata loro sconsigliata. La mancanza di confronto con il clinico e di counselling sono emersi anche dall’indagine: un terzo delle partecipanti con malattie reumatiche ha dichiarato che non era mai stato chiesto loro se desiderassero un figlio».

Un appello a colmare questo gap informativo tra medico e paziente arriva anche dalle associazioni di pazienti ANMAR e APMAR che chiedono una maggiore comunicazione da parte del medico alla donna con malattia reumatica e un adeguato supporto psicologico, prima della decisione di diventare mamma, durante la gravidanza e dopo il parto, per chiarire dubbi, mitigare timori ed essere informate sulla compatibilità con la terapia in atto. Evidenziano inoltre la necessità di una maggiore tutela della donna che decide di intraprendere una gravidanza dal momento che, dal punto di vista normativo, non sono previste tutele aggiuntive rispetto a quelle riconosciute a tutte le donne, che risultano assolutamente inadeguate in presenza di una malattia reumatica. Per questo motivo un gruppo di esperti multidisciplinari, clinici, psicologi, rappresentanti istituzionali e pazienti, hanno presentato un Consensus paper, realizzato da HPS-AboutPharma con il contributo di UCB Pharma. Pur mettendo in luce le principali criticità nel percorso di cura, dal documento emerge che “con il presupposto di un corretto inquadramento diagnostico, una presa in carico adeguata e terapie mirate, mettere al mondo un figlio non è certamente un tabù, pur in presenza di patologie invalidanti come le malattie reumatiche”.

«E’ ormai evidente e supportato da evidenze scientifiche che la medicina di genere è la nuova frontiera per una migliore appropriatezza terapeutica in determinate malattie», dichiara la Senatrice Paola Boldrini, XII Commissione Permanente Igiene e Sanità, Senato della Repubblica. «Tra queste, le malattie reumatiche aprono una sfida all’applicazione della medicina di genere, soprattutto nella particolare condizione dell’età fertile in cui molte donne incontrano la malattia e desiderano una gravidanza. È necessario per questo che i decreti previsti dall’art. 1 e 3 della legge 3/2018 vengano approvati al più presto per permettere di diffondere a tutti i professionisti della salute un approccio diagnostico terapeutico finalizzato all’appropriatezza delle cure».

di Paola Trombetta

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