Bea e le tante malattie rare ancora senza diagnosi

«Cosa potrei dire? Mi viene in mente solo che sono stati otto anni meravigliosi e intensi. E ora Beatrice ha raggiunto la sua mamma». Sono le accorate parole di Alessandro, il papà di Bea, la piccola che è mancata il giorno di San Valentino a Torino, a sei mesi dalla morte di mamma Stefania malata di tumore. Bea era affetta da una malattia molto rara, la fibrodisplasia e dal terzo mese di vita era intrappolata in un corpo che si era irrigidito, a causa delle articolazioni completamente calcificate. La famiglia ha aperto la pagina facebook della Onlus che porta il nome della piccola: “Il mondo di Bea”. Come Bea, sono tantissimi in Italia i cosiddetti malati “rari”: secondo il rapporto MonitoRare, presentato alla Camera nel luglio scorso, tra 450 e 670 mila, senza considerare i tumori rari. Anche le malattie rare sono un numero imprecisato: tra 7 e 8 mila. Per almeno tre malati su 10 non esiste ancora una diagnosi e dunque la possibilità di terapie. Per approfondire la conoscenza di queste patologie, in occasione della Giornata mondiale delle Malattie Rare che si celebra il 28 febbraio, abbiamo intervistato la dottoressa Domenica Taruscio, responsabile del Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) dell’Istituto Superiore di Sanità.

Dopo il caso della piccola Bea, la “bambina di pietra” morta a Torino, affetta da una malattia rarissima, quanti sono i malati in attesa di una diagnosi e di un possibile intervento terapeutico, su un totale di quanti malati rari in Italia già diagnosticati?
«Vorrei precisare che la piccola Bea era colpita da una forma aggressiva di fibrodisplasia ossea progressiva, malattia grave e al momento senza una terapia risolutiva. Si stima che circa il 30% dei malati colpiti da malattie rare (670 mila secondo gli ultimi dati) sia ad oggi senza una diagnosi. Negli ultimi anni sono aumentate le collaborazioni scientifiche, nazionali ed internazionali, finalizzate ad approfondire le basi biologiche di queste malattie per giungere nel minor tempo possibile alla loro diagnosi e avviare ricerche per identificare nuovi trattamenti. In particolare nel 2014 è stato istituito il Network Undiagnosed Diseases Network International (UDNI, www.udninternational.org), di cui il Centro Nazionale Malattie Rare dell’ISS è membro fondatore».

Come si è mosso e quali iniziative ha attivato in questi anni il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) presso l’ISS?
«Dal 2016 il CNMR coordina a livello nazionale il progetto bilaterale Italia-USA (“Undiagnosed Rare Diseases: a joint Italy – USA project”) a cui partecipano sei centri clinici della Rete nazionale delle malattie rare coordinati dal CNMR. Nell’ambito di quest’ultimo progetto, è stato sviluppato un prezioso database nel quale ad oggi sono state raccolte informazioni sul fenotipo e genotipo di circa 60 pazienti con malattia rara senza diagnosi, selezionati dai centri clinici coinvolti nella Rete Nazionale Malattie Rare. Questi pazienti sono in fase di valutazione clinica attraverso analisi genomica per fornire una diagnosi certa. Il database è già connesso con i database internazionali all’interno al sistema Machmaker Exchange (www.matchmakerexchange.org). Questa strategia condurrà a ricercare a livello internazionale il caso di un “secondo” paziente con quadro clinico sovrapponibile a quello studiato e l’identificazione dei geni della malattia, aumentando così la possibilità di nuove diagnosi».

Quali saranno gli obiettivi futuri da realizzare nell’anno in corso?
«Procedere con questi studi, coinvolgendo sempre più i Centri clinici della Rete Nazionale delle Malattie Rare in modo da assicurare una sempre maggiore copertura sul territorio e incrementare le possibilità di diagnosi per questi pazienti».

Esistono oggi farmaci per “guarire” qualcuna di queste malattie?
«Esistono i cosiddetti “farmaci orfani” valutati e approvati dall’Agenzia europea dei medicinali (EMA, www.ema.europa.eu). I progressi sono stati notevoli: più di 100 farmaci orfani sono stati approvati sinora, due anche negli ultimi giorni. Pertanto, diversi gruppi di persone con malattie rare beneficiano in modo significativo di questi medicinali e molte altre patologie vengono ancora trattate con terapie sintomatiche. Nonostante gli indubbi successi, certamente vi è grande necessità di investire ancora in ricerca e sviluppo».

Quali speranze dare oggi ai malati “rari”e alle loro famiglie?
«Le conoscenze scientifiche stanno progredendo velocemente e in modo significativo: pertanto aumenteranno a breve termine le possibilità di diagnosi e trattamento per molte malattie. Bisogna però investire anche sulla qualità di vita delle persone con malattia rara: grazie alle Rete Nazionale delle Malattie Rare è necessario migliorare sempre più l’accesso alle strutture ospedaliere specialistiche, la presa in carico dei pazienti e la possibilità di effettuare cure domiciliari».

Quali iniziative potrebbero migliorare la qualità di vita di questi pazienti?
«E’ fondamentale indirizzare i pazienti e le famiglie ai centri di riferimento della Rete Nazionale Malattie Rare per assicurare diagnosi precoce e trattamenti appropriati: si possono così intraprendere tempestivamente cure riabilitative per impedire l’aggravamento di alcune condizioni cliniche. E importante anche favorire la formazione dei medici di medicina generale, che sono il primo filtro per indirizzare i pazienti e le loro famiglie. Un aspetto essenziale è la prevenzione delle patologie prevenibili, quali le malformazioni congenite: abbassare o eliminare i fattori di rischio, tra cui evitare il consumo di alcol in gravidanza per scongiurare l’insorgenza di fetopatia alcolica, e aumentare i fattori protettivi, come assumere acido folico prima della gravidanza, assicurando una alimentazione varia ed equilibrata, per diminuire il rischio di insorgenza della spina bifida».

di Paola Trombetta

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