La Siru propone nuove linee guida per la PMA

Riconoscere la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) come metodo terapeutico per favorire il concepimento e poter garantire il diritto di scelta della coppia di costituire una famiglia con figli. Qualificare e facilitare gli accessi ai Centri di PMA; mettere a disposizione percorsi di terapia e assistenza medica in tutte le Regioni italiane. Mantenere un dialogo costante con le istituzioni nazionali e regionali, attraverso un patto per la salute riproduttiva tra operatori, istituzioni, pazienti per promuovere una corretta informazione, puntare sulla prevenzione, garantire tempestività nelle diagnosi e nelle cure per recuperare il tempo della fertilità. E soprattutto redigere delle precise Linee Guida per la Procreazione medicalmente assistita (PMA), quale espressione competente della medicina e biologia della riproduzione, così come previsto dalla nuova normativa sulla Responsabilità sanitaria, superando i vincoli delle Linee Guida attuali. È quanto propone la Società Italiana della Riproduzione Umana (SIRU), una nuova società scientifica che è nata solo otto mesi fa e conta già oltre 550 iscritti, e ha organizzato i giorni scorsi a Roma il primo Congresso nazionale che ha visto oltre mille partecipanti tra Istituzioni, medici, operatori di PMA e associazioni pazienti.

«La tutela della salute riproduttiva e la cura delle problematiche connesse devono essere garantite in modo omogeneo e costante su tutto il territorio nazionale», ha dichiarato il dottor Antonino Guglielmino, uno dei tre Presidenti della SIRU e Responsabile Centro Unità di Medicina della Riproduzione di Catania. «L’inserimento della PMA nei servizi previsti dal SSN attraverso i LEA e la possibilità di redigere delle vere Linee Guida da parte della Società Scientifica sono due opportunità uniche sia per modernizzare e omogeneizzare i livelli di prestazione in questo ambito sanitario, sia per sviluppare una nuova visione del rapporto medico-paziente, più umanizzato e affrancato dagli interessi economico-professionali. Le Linee Guida attuali sono emanazioni degli articoli della Legge 40 e indicano solo gli obblighi e le regole da applicare. Le Linee Guida che la SIRU vorrebbe proporre sono invece delle “raccomandazioni” da parte di specialisti che dovranno poi essere applicate e valutate caso per caso, tenendo conto delle problematiche che hanno indotto la coppia a ricorrere alla PMA. Nella Legge 40, ad esempio, non si parla delle patologie di cui può soffrire una donna, come endometriosi o fibromi che, come tali devono essere adeguatamente curati prima di iniziare un percorso di PMA. Non si specifica nemmeno in quali casi debba essere consigliata la diagnosi pre-impianto, che dovrà essere adeguatamente valutata in un counselling tra la coppia e i professionisti competenti (genetista, ginecologo, psicologo). E tanto meno si parla di come poter realizzare una fecondazione assistita eterologa, oggi legale anche in Italia, senza tener conto delle difficoltà di avere la disponibilità di ovociti: un grosso problema che costringe ancora molte coppie a praticare la fecondazione all’estero, soprattutto in Spagna. Purtroppo manca nel nostro Paese la cultura della donazione di ovociti: molte donne sono convinte che sia ancora proibita. Solo il 4% delle italiane sono donatrici, e compiono questo gesto quando con la PMA sono riuscite ad avere un figlio e hanno magari ovociti congelati che vengono donati ad altre donne nella loro stessa situazione. Ancora molto resta da fare per superare la resistenza e la disinformazione. Un ruolo importante spetta al medico di famiglia, che dovrebbe essere il primo referente della coppia che ha problemi di infertilità – conclude il dottor Guglielmino –. Da un’indagine realizzata dall’Associazione HERA di Catania risulta che solo il 19% delle coppie vengono avviate dal medico di famiglia ai centri di PMA; il 70% si basa sul passa-parola di amici e conoscenti o si documenta su Internet, con il rischio magari di rivolgersi a centri poco qualificati».

di Paola Trombetta 

 

Vitamina D fa bene alla fertilità

Era noto da tempo: la carenza di vitamina D nelle donne in età fertile riduce la capacità riproduttiva. Diversi studi scientifici lo dimostrano, tra cui il più autorevole pubblicato sulla rivista internazionale Human Reproduction. Ma per la prima volta è stato avviato uno studio scientifico, condotto dalla Clinica Mangiagalli e dall’Ospedale San Raffaele di Milano per valutare l’effetto dell’integrazione di vitamina D in un gruppo di donne che stanno iniziando un percorso di PMA. «Lo studio è stato finanziato dal Ministero della Salute ed è tuttora in corso l’arruolamento delle donne», puntualizza la dottoressa Paola Viganò, responsabile del Laboratorio di Procreazione Medicalmente Assistita dell’Ospedale San Raffaele di Milano e copresidente SIRU. «Trecento donne assumeranno un’integrazione di vitamina D e le altre 300 un placebo. I risultati sono previsti per la fine del prossimo anno. Se si dovesse dimostrare che l’aggiunta di vitamina D aumenta i successi della PMA, questa “raccomandazione” potrebbe essere suggerita alle donne che iniziano un percorso di fecondazione assistita e in futuro rientrare addirittura nelle nuove Linee Guida proposte dalla nostra Società scientifica. Dove si potrebbero aggiungere anche una serie di terapie o interventi  per curare problemi come fibromi, endometriosi, o aborti ricorrenti, prima di accedere ai percorsi di fecondazione assistita. E tutti questi “suggerimenti”, mirati e personalizzati, sanciti dalle nuove Linee Guida, potrebbero concorrere all’aumento di successo della PMA».  P.T. 

Ovodonazione: è in Spagna la più grande banca di ovociti in Europa

Più della metà delle donne italiane, che ricorrono alla fecondazione eterologa, riceve ovociti dai centri spagnoli. Non a caso a Valencia si trova la Banca degli ovociti più grande d’Europa, gestita dall’Istituto Valenciano d’Infertilità (IVI), uno dei centri pionieri della tecnica di vitrificazione degli ovociti.  «La cultura della donazione è molto diffusa in Spagna e praticata già da 30 anni, perché non è mai esistito il divieto della fecondazione eterologa, come invece in Italia», conferma il professor Antonio Pellicer, presidente IVI. «Nel 2016 abbiamo effettuato circa 4mila cicli di vitrificazione di ovociti, una parte dei quali sono destinati alla fecondazione eterologa. Molto rigorosa è la selezione delle donatrici, che hanno un’età compresa tra 18 e 35 anni: oltre alla visita ginecologica e all’ecografia, per escludere patologie, vengono effettuate analisi del sangue dettagliate, inclusi i test di compatibilità genetica. Dopo questo primo screening, solo il 30% prosegue l’iter per diventare donatrice». Come è avvenuto per Patricia, 24 anni, che ha già fatto due cicli di ovodonazione (il tetto massimo è di 6 cicli) e si dice pienamente appagata da questo gesto, con il quale ha consentito a diverse mamme di avere dei figli. «Nel nostro centro è di prassi cercare di combinare le caratteristiche somatiche della donatrice (razza, colore dei capelli e degli occhi) con quelle della futura mamma», puntualizza la dottoressa Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma. «Cerchiamo inoltre di effettuare i test per la diagnosi pre-impianto per assicurare la salute e la qualità dell’embrione, dove è necessario e in tutti i casi in cui viene richiesta dalle coppie. E questo aumenta anche le probabilità di attecchimento dell’embrione in utero e, di conseguenza, il successo della PMA».  P.T. 

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