La psoriasi si racconta “sulla pelle”

Claudia fa l’infermiera in un reparto di geriatria a L’Aquila e, da sempre, aveva alcuni sogni nel cassetto: diventare mamma e sposarsi con l’abito bianco, obiettivi resi più difficili dalla psoriasi. Oggi invece realizzati e, nonostante le difficoltà, il sorriso della sua bimba le ricorda che ne è valsa la pena.

Nina aveva 24 anni quando, per la prima volta, decise di non dare più ascolto alle sue paure, iniziate da bambina, scoprendo il suo corpo segnato dalla psoriasi. Timori che restano un ricordo presente, ma oggi più opaco, grazie alle cure, all’amore dei suoi affetti e a una bella casa sul mare che le rammenta che davanti c’è sempre un nuovo orizzonte da raggiungere.

Sono solo alcune delle dieci toccanti testimonianze, video o scritte, di “SULLA MIA PELLE. Il racconto della mia psoriasi”, un progetto di sensibilizzazione di medicina narrativa, presentato in occasione della Giornata mondiale della Psoriasi (29 ottobre), promosso da Janssen Italia in collaborazione con ADOI (Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani), SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia) e ANAP Onlus (Associazione Nazionale “Gli Amici per la Pelle” a sostegno dei malati di psoriasi e di altre malattie dermatologiche croniche), con un duplice scopo: lasciar fluire le emozioni tenute nascoste e sommerse nell’anima – per imbarazzo, vergogna, senso di inadeguatezza verso se stessi, il prossimo e la libertà di vivere la vita – di chi porta i segni visibili della malattia sul proprio corpo. Più spesso il torace, la schiena, gomiti e ginocchia, nascosti dagli indumenti, ma talvolta anche sul volto, in fronte, su orecchie e mani, rendendo difficile e quasi impossibile la convivenza anche con se stessi. «Uscire allo scoperto è la cosa più difficile per chi ne soffre – afferma il dottor Ugo Viora, Vice Presidente di ANAP Onlus. Quello che è presente sulla pelle è di fatto una sorta di “prigione dell’anima”: chi riesce a raccontarsi, raggiunge un grande traguardo di accettazione di sé e della propria malattia».

Perché la psoriasi stigmatizza per un concetto culturale, che ancora porta a credere che si tratti di una malattia infettiva, contagiosa, pericolosa. «Colpisce più di un milione e mezzo di persone, oltre il 3% della popolazione italiana – dichiara il professor Antonio Costanzo, Direttore del reparto di Dermatologia dell’Istituto Humanitas di Milano e membro del Board direttivo di SIDeMaST – con un esordio, in almeno un terzo dei casi, tra i 10 e i 20 anni e comunque per lo più entro i 30 anni». Quelli più critici, in cui l’aspetto fisico e il rapporto con il proprio corpo contano più del valore della persona e in cui la progettualità di un futuro personale e di coppia ha fondamentale importanza che pare (temporaneamente) negato. Perché oggi, come testimonia il secondo importante messaggio del progetto, la psoriasi – malattia cronica con la quale si deve convivere a vita – può essere efficacemente controllata, bene e a lungo termine, quasi fino a ottenere una pelle “pulita” dalle lesioni, migliorando i sintomi e la qualità della vita. «Occorre tuttavia rivolgersi a Centri specializzati – raccomanda Costanzo – a cui invece si rivolge soltanto il 30% di pazienti affetti e con molto ritardo, a una stadio avanzato di malattia, nei quali sono disponibili trattamenti innovativi, di ultima generazione». Tra questi vi è brobalumab, un farmaco biologico indicato in forme di psoriasi a placche, da moderata a grave, di cui si registrano soltanto in Italia 150mila casi: in uno studio di Fase II si è dimostrato in grado di mantenere la pelle libera da lesioni in più di tre quarti di pazienti, con risultati protratti nel tempo, anche fino a 120 settimane (circa due anni) dopo l’inizio del trattamento. Garantendo sul lungo periodo un profilo di tollerabilità e sicurezza, superiore a quelli ottenibili con altre terapie attualmente utilizzate. Dovrebbe presto arrivare anche in Italia la formulazione orale di dimentilfumarato (Dmf), approvata dalla Comunità Europea e già disponibile nel Regno Unito (a cui seguiranno Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia), sempre indicata in forme di psoriasi moderata/grave, quale trattamento di prima linea. In arrivo anche altri farmaci biologici che invece sono in grado di bloccare parzialmente il sistema immunitario, ostacolando l’azione di specifiche citochine, quali l’interluchina 17 e 23. Ogni terapia, assicurano gli esperti, potrà essere studiata su misura delle necessità e del vissuto del paziente. «Conoscere la storia della persona – aggiunge il professor Antonio Cristaudo, Presidente ADOI – aiuta i medici a inquadrare meglio la diagnosi e capire quali, tra i vari trattamenti, sia quello più adatto anche in funzione delle aspettative e della quotidianità di ogni individuo, perché la psoriasi non deve rappresentare un freno alla vita. Con i giusti trattamenti, i sintomi della malattia possono essere tenuti sotto controllo. Vivere felici si può, anche con la psoriasi». Evitando così eventuali ricadute o effetti collaterali pesanti, anche psicologici, che possono associarsi alla malattia.

«Analizzando le testimonianze dei pazienti – ha aggiunto Riccardo Torta, Direttore della Psicologia Clinica ed Oncologica, Città della Salute e della Scienza e professore Ordinario di Psicologia Clinica all’Università di Torino – è emerso che chi soffre di psoriasi spesso non si sente adeguatamente supportato, una “miccia” che può dare avvio alla comparsa di altri sintomi quali stress, depressione e insonnia che, a loro volta, tendono a peggiorare la malattia stessa. A tal punto che l’impatto sulla vita e sul benessere del paziente è spesso superiore a quello di altre malattie croniche della pelle, con manifestazioni variabili da persona a persona, ovvero legate alla percezione individuale della malattia e non proporzionato alla sua gravità». Fino ad avere possibili ripercussioni che oltrepassano la pelle, invadendo la sfera fisica, mentale e psicosociale. Fondamentale diviene, quindi, a qualunque età condividere con l’altro la propria esperienza. «Migliorare le relazioni sociali e modificare lo stile di vita – concludono unanimi gli esperti – può avere impatti positivi sul processo di guarigione. È prioritario che la famiglia, gli amici e gli operatori sanitari li sostengano emotivamente e che il medico diventi la figura chiave di riferimento per ricevere le corrette informazioni cliniche e terapeutiche, anche sui traguardi raggiunti dalla ricerca. Non ultimo, occorre aumentare la consapevolezza e sensibilizzare al cambiamento culturale e degli atteggiamenti della società verso chi soffre di psoriasi, per vincere stigma e pregiudizi». Inaccettabili e lesivi della dignità e del valore della persona.

Tutti i video del progetto sono visibili al link: www.sullamiapelle.com mentre informazioni sui dati della malattia si trovano al sito: www.psoriasi360.it o alla pagina Facebook “Psoriasi360, vinciamo la sfida”.

di Francesca Morelli

 

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