“My Everest”, per la ricerca contro il tumore al pancreas

«Una stanchezza infinita e prolungata nel tempo è stato il primo campanello d’allarme che ha indotto la mia dottoressa di famiglia a sottopormi a diversi esami clinici, tra cui i marcatori tumorali, che avevano valori decisamente fuori dalla norma. Tac e Risonanza Magnetica hanno poi confermato la diagnosi: tumore al pancreas, uno dei più aggressivi, anche se nel mio caso, essendo localizzato alla coda, ho potuto sottopormi all’intervento chirurgico di asportazione che mi ha salvato la vita!». A raccontare la sua odissea è Marta Santi, residente a Vedano al Lambro, 73 anni con due figli e nonna di due nipoti. «Quando ricevi una diagnosi di questo genere, il mondo ti crolla addosso! Per fortuna non mi sono mai persa d’animo e ho avuto la fortuna di incontrare il professor Massimo Falconi e il dottor Gianpaolo Balzano dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che sono specializzati nella cura di questi tumori. Mi hanno operato in laparoscopia, asportandomi il tumore e la milza, il 19 febbraio 2015. Poi sei mesi di chemioterapia, esperienza devastante dal punto di vista fisico, ma positiva dal punto di vista psicologico, perché mi ha dato la possibilità di incontrare tante persone nella mia stessa condizione, anche più giovani, che stavano peggio di me. Tra queste c’era Monica, la moglie di Luigi Sala di Rivolta d’Adda, venuto a mancare a soli 46 anni, venti giorni dopo il mio intervento. Appassionato di montagna e grande sportivo, si era sentito male durante la Maratona di Milano nel 2013. Dagli esami avevano poi scoperto la malattia. Consapevole della sua sorte, prima di morire si era prefissato un importante traguardo: raccogliere 8.848 euro, come l’altezza del Monte Everest, sua meta ambita, per favorire la ricerca su questo tumore. Un risultato portato avanti dalla moglie, che ha fondato l’Associazione “My Everest”, per raccogliere fondi (oggi più di 70 mila euro), destinati al reparto del San Raffaele dove si fa ricerca su questo tumore. Nel mio piccolo, anch’io ho voluto dare un contributo, organizzando una cena dove abbiamo raccolto più di 3.500 euro».

Venerdì 9 giugno, dalle 10 alle 17, l’Associazione sarà presente con un banchetto di raccolta fondi all’Ospedale San Raffaele. E il 17 giugno, a Rivolta d’Adda, si svolgerà la camminata MyEverest, dalle 17 alle 21. Due iniziative concrete per raccogliere fondi e aiutare la ricerca di nuove cure per questo tumore che è uno dei più aggressivi e colpisce purtroppo sempre più i giovani. Per info sulle iniziative: www.myeverest.it; pagina FB: @ProgettoMyEverest, tel: 340/8439049.
Anche se rimane uno dei tumori a più alta mortalità (solo il 7% dei pazienti sopravvive a cinque anni), la ricerca ha fatto grandi progressi nelle cure, con interventi chirurgici e terapie sempre più mirate. «Il tumore al pancreas richiede una chirurgia particolarmente impegnativa che solo pochi centri in Italia sono in grado di praticare», fa notare il professor Massimo Falconi, direttore del Reparto di Chirurgia del Pancreas (Pancreatic Cancer Centre) dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Su 500 ospedali che in Italia operano questo tumore, in realtà 400 non fanno più di 3 interventi all’anno. I centri dove vengono effettuati il maggior numero di interventi sono: l’Ospedale Borgo Trento di Verona, con più di 300 interventi all’anno, seguito dal San Raffaele di Milano dove operiamo 200-250 pazienti all’anno; a seguire l’Istituto Humanitas di Rozzano, con 100-120 interventi, l’Istituto Nazionale dei Tumori con 30-40 e l’Istituto Europeo di Oncologia con una ventina di interventi. Per questo è auspicabile che il Ministero della Salute intervenga per stabilire le prerogative che dovrebbero avere gli ospedali regionali per effettuare questo genere di interventi, particolarmente complessi e che richiedono una grande professionalità».

«Anche la medicina in questi ultimi dieci anni ha fatto enormi progressi», aggiunge il dottor Michele Reni, oncologo clinico del Pancreatic Cancer Centre del San Raffaele. «Ci sono chemioterapie mirate con farmaci come bevacizumab, che bloccano la vascolarizzazione del tumore. Uno studio condotto su una cinquantina di pazienti e pubblicato sull’European Journal of Cancer, ha dimostrato con questa terapia, dopo la chemio, una sopravvivenza tripla rispetto alla chemioterapia tradizionale».

di Paola Trombetta 

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