Finalmente una cura per la leucemia più frequente nei bambini

Stiamo parlando di Leucemia linfoblastica acuta, la più frequente tra le forme leucemiche che colpiscono i bambini e la seconda nella popolazione adulta dopo i 60 anni. Oggi però questo tipo di tumore ha una nuova cura: blinatumomab, rimborsabile dal Servizio Sanitario. La molecola rappresenta una strategia terapeutica rivoluzionaria per il trattamento dei pazienti affetti da questa patologia, per la quale fino a oggi le opzioni terapeutiche erano molto limitate. «La terapia con blinatumomab è una forma di immunoterapia che, contemporaneamente, è in grado di annientare anche le cellule del tumore», spiega il professor  Robin Foà, Direttore dell’Ematologia del Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma. «Ha infatti una duplice azione: da un lato attiva le cellule T del sistema immunitario del paziente a riconoscere quelle malate e a eliminarle. Dall’altro agisce anche su un gruppo di cellule B che annientano direttamente le cellule tumorali. I risultati dello studio TOWER, su pazienti con malattia molto avanzata, sono stati rilevanti perché hanno dimostrato che, rispetto alla terapia convenzionale, blinatumomab ha permesso di ottenere percentuali di remissione completa di malattia significativamente più elevate e ha praticamente raddoppiato la sopravvivenza globale, rispetto alla chemioterapia standard. In particolare nel bambino questa cura ha un’efficacia del 90% e nell’adulto del 50%. Risultati mai osservati con un singolo farmaco e recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista di medicina, il New England Journal of Medicine».

Numerosi sono gli studi di fase I e II, condotti negli anni, che hanno dato risultati talmente incoraggianti da aver spinto FDA e EMA a concedere un’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata che, di recente, dall’ FDA è diventata totale. Il TOWER è uno studio di Fase III, il primo trial clinico condotto su un’immunoterapia che ha dimostrato un beneficio in termini di sopravvivenza globale quasi raddoppiato. Il farmaco è approvato per il trattamento di adulti affetti da Leucemia linfoblastica acuta da precursori delle cellule B recidivante, senza mutazione del cromosoma Philadelphia. Si tratta di una patologia rara e molto aggressiva.

«Nei pazienti adulti si registrano circa 7-10 nuovi casi l’anno per milione di abitanti: per questo motivo la Leucemia acuta linfoblastica dell’adulto è da considerare una malattia rara», dichiara Alessandro Rambaldi, Direttore dell’Unità Strutturale Complessa di Ematologia, Azienda Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Negli Stati Uniti, il numero di nuovi casi stimati all’anno è di circa 6.000. In Italia la stima di nuovi casi di pazienti adulti è di circa 300 l’anno e 150 bambini. Questa leucemia insorge nel midollo osseo e colpisce le cellule staminali emopoietiche. In particolare, il processo di trasformazione tumorale interessa un progenitore preposto alla produzione di cellule linfatiche (linfociti B e T). La trasformazione tumorale di queste cellule avviene di solito in modo rapido ed è dovuta allo sviluppo di alterazioni acquisite del DNA che provocano un blocco della normale maturazione della cellula midollare. Per questa ragione le cellule trasformate non sono più in grado di dare origine a linfociti maturi e progressivamente si accumulano nel midollo osseo, portando a una destrutturazione di tutta la sua funzione. Così il paziente diventa anemico, pallido e si sente sfinito, a causa della mancata produzione di globuli rossi. L’insufficiente produzione di piastrine determina la comparsa di manifestazioni emorragiche sulla pelle, nel cavo orale, nella mucosa nasale (epistassi). Il paziente ha spesso la febbre, a causa della ridotta produzione di globuli bianchi normali che lo difenderebbero dalle infezioni. La prognosi, se il paziente non è curato, può diventare rapidamente infausta, ma oggi sono stati fatti grandi progressi, soprattutto nei bambini nei quali questa malattia si può curare nel 90% dei casi. Nell’adulto i risultati sono più contenuti, con sopravvivenza a cinque anni del 50%: rispondono ovviamente meglio i pazienti più giovani rispetto a quelli di età superiore a 60 anni».

di Paola Trombetta

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