LE NOVITA’ SUL “DIVEZZAMENTO” DAL MINISTERO DELLA SALUTE

Qual è il momento migliore per cominciare il divezzamento? Quali alimenti devo prediligere per l’alimentazione del mio bambino in questa fase dello sviluppo? E se soffrisse di allergie come mi devo comportare?”. Se lo chiede ogni mamma quando dopo i 6 mesi di allattamento al seno, raccomandati dall’Oms, occorre nutrire i piccoli con una dieta diversa: più da grandi e in grado di garantire l’apporto di energia, proteine, ferro, zinco, vitamine e ogni altro principio nutritivo richiesto dalla crescita. Come attuare correttamente il passaggio o l’integrazione del latte materno con “alimenti complementari”? Lo insegna il Ministero della Salute nel nuovo documento “Corretta alimentazione ed educazione nutrizionale nella prima infanzia”, redatto da un Tavolo Tecnico nell’ambito della strategia europea “The EU Action Plan on Childhood Obesity 2014-2020”, dedicato a tutti gli Stati Membri, Italia compresa. Prima regola: ogni cosa ha il suo tempo e quello alimentare è tra la 17° e la 24° settimana. È in questa finestra che bisogna cominciare a strutturare una dieta che da esclusivamente lattea, preveda anche cibi di consistenza più morbida. Si tratta comunque di un arco di tempo indicativo – sottolinea il documento – perché il passaggio alimentare è associato anche all’individualità del bambino. Ovvero a specifiche esigenze nutrizionali, allo sviluppo neurofisiologico e anatomo-funzionale, alla crescita in peso e statura, al rapporto mamma/bambino e a specifiche esigenze socio culturali: tutti aspetti che vanno valutati e condivisi con il pediatra per impostare una dieta ad hoc che possa favorire lo sviluppo armonico dei piccoli. Infatti possono esistere contesti e situazioni particolari che possono richiedere specifici comportamenti, come nel caso del ferro, al cui riguardo il documento ministeriale precisa così: «Per quanto concerne questo metallo (un principio nutritivo che rientra tra gli elementi fondamentali di un’alimentazione complementare), i nati a termine allattati esclusivamente al seno ne mantengono solitamente scorte sufficienti per i primi 6 mesi. Nella categorie a rischio di carenza (per esempio lattanti nati prematuri) è preferibile attuare una supplementazione individualizzata di ferro, piuttosto che anticipare il divezzamento». Infatti, anche il Ministero della Salute è concorde nel ritenere che il divezzamento debba essere avviato dopo i 6 mesi, soglia entro la quale il bambino è pronto a ricevere cibi solidi in funzione della maturazione intestinale ma anche dello sviluppo neurologico che consente di afferrare gli oggetti, masticare e deglutire i cibi senza particolari pericoli, quali un eventuale possibile rischio di soffocamento. Non solo scelta e qualità dei cibi, occorre anche saperli servire ai piccoli nel modo corretto: gli alimenti vanno loro presentati sul cucchiaino, permettendo in qualche occasione anche di toccare il cibo nel piatto – perché il bambino ha bisogno di esplorare il mondo, anche quello alimentare, con le sue risorse e capacità – fino a consentire di poterlo mangiare con le mani. Imboccare i piccoli in maniera corretta, è un’esperienza delicata e importante, soprattutto nelle fasi iniziali di approccio al cibo semi-solido quando il bambino non è ancora abituato ai bocconi, e il documento così spiega a mamma e papà: «E’ importante che il bambino mangi seduto con la schiena eretta (preferibilmente nel seggiolone) per evitare il rischio di soffocamento e per permettergli di partecipare attivamente al pasto».

Il divezzamento è anche la fase in cui inizia il percorso di educazione alimentare alla diversità di colore, sapore e consistenza dei cibi: ecco perché è importante offrire ai bambini nell’arco dei 9-12 mesi una dieta quanto più possibile vasta, varia e bilanciata. Compresi gli alimenti solitamente a loro meno graditi, come frutta e verdura, usando però molta moderazione, cioè non insistendo qualora il bimbo manifestasse un rifiuto verso un determinato alimento, piuttosto alternando cibi di diversa qualità e tipologia, e riproponendo nella dieta il cibo “critico” nelle giornate successive, cucinato in maniera differente. Poco riconoscibile dai piccoli che sono furbi e potrebbero non cadere in inganno. Occorre, durante il divezzamento, fare anche uno sforzo educazionale in più: cercando cioè di “metodicizzare” il tempo del cibo. Vale a dire che il bambino a poco a poco (ma entro l’anno di vita) deve poter apprendere che i pasti principali sono due – il pranzo e la cena – oltre alla fondamentale colazione mattutina, ma che può essere gratificato anche da due piccoli spuntini giornalieri, nei quali potrà essere concessa una tantum qualche piccola golosità.

Quali sono, allora, i cibi preferibili? Compiuto l’anno, i bambini possono cominciare a mangiare alcuni alimenti condivisi coi grandi, a patto che vengano loro offerti nella consistenza giusta, facile da masticare e deglutire e che siano preparati senza sale e zucchero. Ricordando alcune preziose indicazioni dietetiche, ovvero che l’apporto energetico complessivo, tra 1 e 3 anni, deve essere adeguatamente spartito tra i diversi macro-nutrienti: 50% di carboidrati, 40% di grassi e solo 10% di proteine. In merito ai cibi che forniscono carboidrati, è bene moderare il consumo di alimenti e bevande contenenti zuccheri, fattore predisponente alla carie, al sovrappeso o all’obesità, problema in sensibile crescita in età pediatrica come sottolineano tutti i pediatri nazionali. Per quanto riguarda i grassi, invece, sono consigliate 2-3 porzioni a settimana dei pesci tra i più ricchi di questa sostanza – come pesce azzurro, trota, salmone – che permettono di acquisire soprattutto le quote di grassi a catena lunga, che dovrebbero essere pari a 250 mg giornalieri di cui almeno 100 di DHA (contenuti anche nel pesce), secondo quanto raccomandato dall’Efsa. Mentre per l’apporto idrico/liquido, durante il divezzamento, è da previlegiare soprattutto l’acqua, oltre al latte, evitando quello vaccino almeno fino a dopo l’anno di vita per non incorrere in uno sbilanciamento proteico complessivo e/o in carenze di ferro, limitando comunque le quantità massime giornaliere a 200-400 ml.

Nel caso in cui i bambini fossero a rischio allergie o celiachia, vanno divezzati diversamente? No, il “passaggio alimentare” non deve subire particolari variazioni; i più recenti studi avrebbero dimostrato che l’introduzione tardiva di alimenti presumibilmente allergizzanti – tra i più comuni glutine, frutta secca, nichel – non protegge dallo sviluppo di reazioni alimentari di diverso tipo in bimbi predisposti. Ovvero la prima esposizione a un cibo a rischio, purché avvenga dopo i 4 mesi, non modificherebbe il rischio globale di manifestare una specifica avversione alimentare a 10 anni di età.

Il Ministero della Salute fornisce infine anche qualche indicazione circa gli alimenti destinati a lattanti e bambini nella prima infanzia (1-3 anni): pur ribadendo la superiorità del latte materno, si asserisce che le “formule per lattanti (o di proseguimento dai 6 mesi di vita )”, sono le uniche accreditate a sostituire adeguatamente la nutrizione al seno fino alla normale introduzione di una dieta complementare. Tra i cibi dell’infanzia sono consigliati gli alimenti a base di cereali, farine lattee, pastine e biscotti, e tra i baby food, prodotti con carne, pesce, formaggio, frutta e verdura e alimenti tipo dessert o i “latti di crescita”, che contengono anche acidi grassi essenziali e polinsaturi a lunga catena, ferro, iodio e vitamina D, nel rispetto del modello delle formule di proseguimento, per poter garantire una crescita ottimale dei piccoli.

 

di Francesca Morelli

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