SCLEROSI MULTIPLA: UNA MALATTIA “GIOVANE”, CHE NON DEVE FARE PAURA

«Nel 1993 mi è stata diagnosticata la Sclerosi Multipla. Ho sciato fino al 2001 e sono andata in motorino fino al 2004. Nel 2007 ho cominciato a usare il bastone. Dal 2010 la mia malattia si è trasformata in “secondariamente progressiva”. Dal 2012 sono in sedia a rotelle. Tra il 1995 e il 2010 ho lavorato con massimo sforzo e massimo risultato a Radio2 (l’interruzione del programma Fabio&Fiamma non è dipesa dalla SM). Questi scarni dati anagrafici per significare quanto la malattia sia stata a lungo per me ininfluente dal punto di vista pratico. Il vero problema, per molti anni, ha riguardato la sua accettazione, un percorso lunghissimo, complesso e doloroso. Nonostante tutto, quando mi sono resa conto che la SM mi aveva gradualmente trasformato in una persona in difficoltà e quindi in bersaglio di comportamenti irrispettosi, pensai di usarla come una lente di ingrandimento sull’inciviltà dilagante. Dal 2009 la racconto in una rubrica settimanale su La Gazzetta dello Sport (Diversamente affabile) fortemente voluta dall’allora direttore Carlo Verdelli e mantenuta da Andrea Monti, e nell’omonimo blog (http://diversamenteaff-abile.gazzetta.it/), nel quale ho dedicato una sezione anche alla SM e ai suoi risvolti psicologici. Mi è sembrato doveroso mettere la mia esperienza di malata e di giornalista al servizio dei malati e di chi vi gravita intorno per fornir loro una piccola bussola di navigazione. Così, per esempio, visto che per tanti anni nella mia famiglia è valsa la parola d’ordine “la malattia non esiste”, mi sembra più importante raccontare quanto la rimozione della malattia impedisca al malato di combatterla piuttosto che informare sul tipo di farmaci assunti o sui loro effetti collaterali (in caso mi piace ribadire l’importanza universale della fisioterapia, a mio avviso, troppo tiepidamente caldeggiata dai medici). Del resto, allo stesso modo in cui la SM colpisce in modi diversi, ognuno risponderà diversamente alle cure e userà strumenti differenti per contrastarla. Perché ciascuno combatte come può, come sente, come sa. Solo la paura della malattia e delle sue misteriose destinazioni accomuna tutti. Casualmente, ho quattro cari amici con la SM. Ricordo per esempio Alfa. Nel 2000 io sciavo e lei camminava malissimo e con gran fatica. Oggi lei continua a camminare malissimo e con gran fatica, ma io sono su sedia a rotelle. Alfa però non riesce a concentrarsi nella lettura, né a scrivere frasi compiute. A me sciare non manca, ma impazzirei senza poter scrivere, leggere, parlare, andare a teatro, vedere film. Oppure Beta. Nel 2004 sulla spiaggia, io entravo e uscivo dall’acqua tra le onde abbastanza disinvoltamente. Lui faceva una fatica bestiale. Ora Beta sulla spiaggia si aiuta con le stampelle, io le onde me le sono dimenticate. Ma la vita è infinitamente ricca di bellezza, stimoli, piaceri, soddisfazioni. Vale la pena dedicarvisi con forza, coraggio e pazienza, le armi di ogni malato di SM, di ogni guerriero».
Così Fiamma Satta, giornalista e blogger, ha raccontato la sua vita con la Sclerosi Multipla, sottolineando il ruolo fondamentale dell’informazione, in occasione di un recente corso di formazione professionale per giornalisti, organizzato dalla Sapienza Università di Roma, con il contributo di Roche, dal titolo: “La Sclerosi Multipla nell’era dei social media: raccontare i progressi delle terapie”. In Italia ogni anno si registrano 3.400 nuovi casi di sclerosi multipla (SM), vale a dire otto nuove diagnosi al giorno: una ogni tre ore. Oltre la metà dei pazienti ha meno di 40 anni, circa due terzi sono donne. La SM è considerata la principale causa di disabilità di origine non traumatica in età giovanile e adulta, con un forte impatto sociale. Oltre ai costi per il Servizio Sanitario Nazionale, stimati in 5 miliardi di euro l’anno, vanno considerate le ripercussioni sul percorso di vita e l’ingresso nell’età adulta dei giovani pazienti: secondo una ricerca realizzata dal Censis per conto di AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla, una diagnosi prima dei 25 anni prolunga a tempo indeterminato la permanenza nella famiglia di origine. Una malattia “giovane” quindi, che dopo decenni di silenzio è venuta alla luce anche grazie all’avvento di Internet e dei social media: su forum, blog e canali social i pazienti condividono le loro esperienze e soprattutto le informazioni sulle innovazioni terapeutiche che stanno cambiando lo scenario della malattia. Nella SM infatti il sistema immunitario aggredisce in maniera anomala la mielina, la guaina che riveste i nervi. La ricerca ha messo a fuoco in particolare il ruolo delle cellule B CD20+, un tipo specifico di cellule immunitarie, tra le principali responsabili del danno alla mielina e all’assone da questa rivestito, costituendo il meccanismo alla base della sclerosi multipla. Come conseguenza della distruzione mielinica si formano “cicatrici”, sclerosi o placche, che impediscono la normale capacità dei nervi di trasmettere i segnali elettrici ad altri nervi, generando una serie di sintomi che possono variare da persona a persona. La malattia e la disabilità alterano significativamente la qualità di vita del paziente e della sua famiglia.. Ad esempio, due terzi dei pazienti riferiscono che avere la SM ha condizionato il loro lavoro e solo il 50% circa mantiene un impiego per 10 anni dopo la diagnosi. «La malattia ha un’origine multifattoriale, ovvero non si riconosce un’unica causa scatenante, ma i fattori di rischio e la predisposizione genetica insieme a fattori ambientali concorrono nel determinare l’attacco del sistema immunitario, che da ultimo si manifesta nella perdita della mielina e delle fibre nervose», afferma Carlo Pozzilli, professore Ordinario di Neurologia, all’Università “Sapienza” e responsabile del Centro Sclerosi Multipla del Policlinico Sant’Andrea di Roma. «La sclerosi multipla non ha un meccanismo di ereditarietà diretta e non è sempre causa di grave disabilità. Ne esistono tre tipi: la forma più comune è la SM recidivante-remittente (SMRR), che colpisce circa l’85% dei pazienti con episodi acuti (poussés o recidive), seguiti da periodi di recupero quando i sintomi non progrediscono; la SMRR può evolversi nel 50% dei casi in una forma secondariamente progressiva (SMSP), caratterizzata da progressivi peggioramenti dei sintomi; la SM primariamente progressiva (SMPP) è la forma più grave e debilitante della malattia, caratterizzata dal peggioramento dei sintomi, senza periodi distinti di remissione e successiva ricaduta».
Negli ultimi anni c’è stata una notevole evoluzione nel trattamento di questa patologia. Si è passati dagli interferoni ai farmaci biologici, che colpiscono precisi bersagli molecolari. Sebbene siano enormi i progressi terapeutici ottenuti nelle forme recidivanti-remittenti, persiste un importante bisogno terapeutico per la forma primaria progressiva della malattia. «Alcuni effetti positivi dei trattamenti immunosoppressivi nella progressione della disabilità sono in parte spiegati dalla capacità di ridurre l’attività infiammatoria nella fase iniziale progressiva della malattia», spiega Giancarlo Comi, primario di Neurologia, Neurofisiologia clinica e Neuroriabilitazione e Direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale (INSpe) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Le future terapie della SMRR puntano a sopprimere l’attività infiammatoria a livello periferico in maniera più selettiva, mentre nella SM progressiva la priorità è di puntare alle disfunzioni immunitarie e ai meccanismi complessi che contribuiscono ai processi neurodegenerativi. Un terzo approccio comune a entrambe le SM, recidivante remittente e progressiva, è di rafforzare il recupero. Una novità rilevante riguarda proprio la forma primaria progressiva. L’anticorpo monoclonale ocrelizumab, progettato per colpire selettivamente le cellule B CD20+, è il primo e unico farmaco in fase sperimentale che ha ricevuto dalle agenzie regolatorie statunitense (FDA) ed europea (EMA) la convalida alla richiesta di autorizzazione sia per la forma recidivante-remittente sia per la forma primaria progressiva di SM. E sembrerebbe anche il primo in grado di riattivare il processo di formazione della mielina». Il cambiamento avvenuto nell’ultimo decennio non riguarda solo l’approccio terapeutico, ma anche quello diagnostico. I sintomi clinici vanno a integrarsi ai segni radiologici al fine di monitorare in modo più efficace la malattia che, a causa delle sue caratteristiche spesso subdole, può essere attiva e progredire senza segni clinici evidenti. «Negli ultimi anni, la vasta disponibilità a livello mondiale di registri e banche dati di SM ha permesso di condurre studi in grado di fornire dati di real life, come gli studi NROT (studi osservazionali retrospettivi e prospettici), che stanno offrendo importanti risultati utili a supportare i medici nella scelta delle strategie terapeutiche», osserva Maria Trojano, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze ed Organi di senso, dell’Università degli Studi di Bari. «Questi studi hanno un follow-up di durata più lunga in grado di analizzare i rischi tardivi e i benefici a lungo termine di un farmaco e/o di varie combinazioni e sequenze di trattamento. Si propongono di rispondere a domande pratiche come: quali trattamenti sono più efficaci, per quali pazienti e in quali circostanze?». All’interno del percorso terapeutico basato sull’evidenza, assume importanza sempre maggiore la cosiddetta medicina narrativa, una modalità di intervento clinico e assistenziale che si basa sulla comunicazione e sulla narrazione, condivise tra medico e paziente. «Attraverso l’approccio narrativo la persona con SM esprime il suo vissuto di malattia, analizzando nel filo conduttore della sua condizione, il percorso interiore che lo lega alla relazione con gli altri», dichiara Maria Giovanna Marrosu, professore ordinario di Neurologia, Università degli Studi di Cagliari. «Il racconto dell’esperienza del paziente consente al clinico di comprendere quale possa essere la strategia terapeutica idonea, non soltanto sulla base delle evidenze, ma anche tenendo conto di prospettive, aspirazioni, ruolo sociale attuale e futuro del paziente. Ciò consente di porre le basi per una cura condivisa e per un’alleanza terapeutica che vede i due protagonisti, medico e paziente, paritariamente coinvolti nella relazione».
La sclerosi multipla è una delle malattie più gravi dell’età giovane-adulta. E i giovani che ricevono una diagnosi di SM chiedono, vogliono sapere, comunicare, capire quale potrà essere il loro futuro e soprattutto vogliono non essere soli, vogliono poter contare su terapie in grado di limitare la disabilità, su una riabilitazione adeguata, e su come gestire la quotidianità. «Uno dei nodi fondamentali è la buona comunicazione, quella che informa, chiarisce, stimola alla riflessione, che costruisce un dialogo», sottolinea Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM). «Un’altra risposta importante è l’attività di AISM con la sua Fondazione, perché una persona con SM non può combattere da sola la propria malattia. “Con la nostra ricerca la SM non ci ferma”, è il titolo dell’ultimo congresso FISM. Nel 2018 l’associazione compirà 50 anni. Un percorso fatto di conquiste, per i diritti delle persone e per la disabilità, ma anche di ricerca. Sappiamo però che ancora tante conquiste dovranno essere fatte: nel 2014 le persone con SM hanno chiesto di firmare la Carta dei diritti, nel 2015 i diritti sono stati tradotti in priorità con l’Agenda 2020, dal 2016 misuriamo i progressi dell’Agenda con il Barometro della SM».

di Paola Trombetta

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