MARIA CANDIDA GENTILE: UN “NASO” CHE TIENE ACCESI I SENSI

E’ la prima donna in Italia ad avere conquistato, negli ultimi 30 anni, il titolo di “maitre parfumeur” al celebre Gip (Grasse Institut of Perfumery). Ed è anche stata l’unica italiana che ha frequentato Isipca (Institut supérieur international du parfum, de la cosmétique et de l’aromatique alimentaire) di Versailles. L’abbiamo incontrata in occasione dell’Esxence –The Scent of Excellence, l’evento della Profumeria d’Arte, tenutosi a Milano dal 31 marzo al 3 aprile.

Com’è nata la sua passione per i profumi? Come è diventata un “naso”?

«Da quando ero bambina ho sempre avuto interesse per gli odori e i profumi e l’olfatto era, indubbiamente, il mio senso più sviluppato. Crescendo e sperimentando varie esperienze di vita, verso i 35 anni ho attraversato un periodo molto difficile che mi ha portato a grandi cambiamenti, aiutandomi, però, a mettere a fuoco un desiderio latente, considerato utopico fino a quel momento. Quando ho capito davvero quello che volevo, mi sono impegnata per raggiungerlo, anche se non è stato facile».

C’è qualche episodio particolare della sua vita che ha influito su questa scelta?

«Sì, l’incontro con una donna che è stata “maestra” e mi ha insegnato ad annusare l’aria e a capire se sarebbe arrivata la neve, a raccogliere erbe curative e ad amare in modo profondo la natura. Si chiamava Dina Chasseur».

Il suo non è un lavoro diffuso, né facile da capire. Cosa le dicono o le chiedono le persone estranee al suo mondo?

«Le domande che mi vengono poste sono davvero le più disparate. Ecco qualche esempio. “Hai letto il libro “Il profumo” di Suskind? Tu non puoi fumare, vero? Vai a cercare le erbe, i fiori, i semi e li distilli, come fai ad avere il tempo? È vero che voi “nasi” sapete riconoscere 5mila odori? Ma tu che profumi porti? Puoi fare profumi per attirare il sesso opposto? Ti vendono nei negozi? Indovini le note del profumo che indosso? Quel profumo introvabile che portava mia nonna (mia zia o mio padre…) e che vorrei ricreare, non mi ricordo come si chiama, ma tu lo sapresti rifare? Chissà che mal di testa hai alla fine della giornata! Ma come si fa a realizzare un profumo? Cosa vuol dire essere “nasi”? Sto ammirando il tuo naso, eppure a guardarlo così, è un naso come tanti altri… Certo che ci vuole una certa sensibilità a far profumi… Il ph della pelle è importantissimo vero? L’olfatto è un senso molto più sviluppato negli uomini, ti risulta? Ma lei li crea proprio i profumi?».

Quali sono state le esperienze lavorative per lei più significative, che ricorda con maggior piacere?

«Molto e diverse tra loro. Dai viaggi che mi hanno portato a creazioni molto sentite, che ancora mi commuovono quando le sento, perché mi riportano ai momenti passati. Alla musica di Gerswhin, dedicata a mio padre e alla musica e che ascoltavo con lui, mentre attraversavamo l’oceano, un oceano di fiori e di foreste di mare e di musica. Un sogno che non svanirà mai. E ancora, mi viene in mente l’opera olfattiva “Per l’eternità” presentata a Venezia in Biennale al Padiglione Italia nel 2013 per Luca Vitone: un profumo che interpreta l’odore delle lacrime della sofferenza causata dall’eternit e denuncia questo abominio. E un’altra opera per Luca Vitone sul potere – Imperium – presentata a Berlino nel 2014, poi al Museo Villa Roth nell’ambito di una mostra interamente dedicata all’arte e all’olfatto, dal 1920 a oggi. Infine vado molto fiera di una mia attività legata a un progetto che mi è stato proposto da una primaria di Neurologia, la dottoressa Meneghello, per quanto riguarda un’attività di supporto a pazienti affetti da patologie neurovegetative gravi come la Sla e la Sclerosi multipla. L’ospedale ha anche uno splendido giardino risistemato grazie alle donazioni di alcuni benefattori. Si chiama “Un giardino per rinascere” e dispone di percorsi facilitati per chi ha difficoltà motorie, tanto che i pazienti lavorano, sollevati da terra, su panchine alla loro altezza».

Che consiglio darebbe ai giovani che vogliono intraprendere questa professione?

«Di iscriversi all’Isipca e di non aver paura di allontanarsi. E di crescere seguendo i propri sogni, senza timore delle incognite. Studiare, sacrificarsi e studiare ancora, senza non perdere mai la voglia di conoscere e la curiosità che li farà sentire liberi. Un percorso necessario a tutte le latitudini…».

di Monica Caiti

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