UPMC DI CHIANCIANO: FEGATO (SEMPRE PIU’) SANO

Da “città del fegato sano” a “città della salute” a tutto tondo, con punte di eccellenza scientifica sempre più alte: così evolve Chianciano, storica città delle acque in Toscana, mettendo “a sistema” tutte le forze vive del territorio per un grande progetto di riqualificazione e di rilancio. Dopo l’apertura delle nuove piscine termali Theia, un insieme di acque e trasparenze affacciate sul verde che ha registrato 50mila presenze in un anno, fa sapere il presidente delle terme Fabio Cassi, arriva anche la novità più importante: la trasformazione dei vecchi ambulatori termali nel nuovissimo UPMC Institute for health, centro di eccellenza specializzato in prevenzione, con focus particolare sulla sindrome metabolica e sulle  malattie croniche del fegato.

Inaugurata nel mese di luglio, la nuova struttura nasce dalla collaborazione fra Comune, USL 7 di Siena, Terme di Chianciano e soprattutto University of Pittsburg Medical Center (UPMC), leader mondiale nella ricerca medica e nella telemedicina. Potrà dunque avvalersi di tecniche d’avanguardia e know-how d’oltreoceano, lavorando  in parallelo anche con l’ISMETT di Palermo, che fu la prima esperienza di collaborazione UPMC/Istituzioni pubbliche in Italia. Non solo. Grazie anche alla disponibilità di saperi e strutture, sarà possibile mettere davvero in pratica quel concetto di salute come benessere complessivo del corpo e dell’anima tanto caro all’Oms, che nei fatti si traduce in un approccio medico meno settoriale, meno farmacologico e più puntato su risultati di lungo periodo.

«Ancora oggi si tende a curare tutti allo stesso modo e non si fa abbastanza prevenzione», spiega Ferruccio Bonino, direttore  scientifico del nuovo centro e ordinario di Gastroenterologia all’Università di Pisa. «La nostra sfida è invertire la tendenza: guardare l’individuo nella sua complessità e cercare di prevenire la malattia con un sistema simile al “tagliando” che facciamo periodicamente alla nostra auto. Il fegato può essere il termometro della situazione: sapere come sta ci consente di sapere come staremo, di prevedere l’aspettativa di vita. Perché tutte le malattie dei nostri tempi, a cominciare da quelle, diffusissime, di tipo metabolico, sono più o meno indirettamente legate al fegato». Non si tratta, dunque, di preoccuparsi solo delle pur insidiose epatiti B e C, potenziali anticamera di cirrosi epatiche e tumori, ma anche di monitorare, cercando di bloccarla, la crescita esponenziale dei casi di steatosi (grasso nel fegato), condizione di per sé non patologica, ma “spia” di possibili evoluzioni verso malattie epatiche e non epatiche. Come le steato-epatiti, vere epatiti da grasso, o le sempre più frequenti sindromi metaboliche, diabete, dismetabolismi e patologie cardiovascolari, prima causa di morte nei paesi cosiddetti progrediti. Dai dati, la misura dell’allarme: il fegato grasso riguarda il 20% della popolazione, ma con una prevalenza che sale dopo i 40 anni e arriva addirittura al 60% dopo i 60.

L’urgenza di lavorare sulla  prevenzione viene sottolineata anche da Giovanni Vizzini, direttore del Dipartimento per la cura e lo studio delle patologie e dei trapianti addominali dell’ISMETT (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie di alta specializzazione) di Palermo: «Spesso c’è poca attenzione per i “segnali” del fegato, e invece anche una lieve alterazione delle transaminasi può essere il punto di partenza per inquadrare meglio il caso, valutare il rischio individuale e mettere a punto un programma di prevenzione a tutto raggio che coinvolga anche lo stile di vita, ancor prima di  orientare il paziente verso eventuali cure specifiche. Questo percorso-continua Vizzini- è molto importante: intervenendo a monte, per esempio sul fegato grasso prima che la situazione degeneri, si può evitare perfino il ricorso al trapianto.  E salvare molte vite, perché la sempre minore disponibilità di organi, e la limitatissima possibilità di ricorrere a donatori viventi per evidenti problemi di invasività, limitano molto la via chirurgica, lasciando moltissimi pazienti senza risposta». Anche in questo caso, i dati parlano da soli: in Italia si fanno circa 1000 trapianti di fegato l’anno, a fronte di 12-15mila decessi. E più che mai la sola via d’uscita è il controllo dei fattori di rischio come alcol, virus, e fegato grasso.

L’offerta diagnostica del UPMC Institute for health, inizia con gli esami di base e un colloquio per inquadrare abitudini di vita e fattori di rischio conosciuti (familiarità, ipertensione, alcol, fumo, obesità), continua con programmi di screening generali e differenziati secondo la prevalenza del rischio (fegato, cuore, diabete, educazione alla salute), comprensivi di visita specialistica, analisi specifiche e test di diagnostica per immagini (ECG, ecografia, ecocardiografia, elastometria). Infine, sulla base dei risultati, la valutazione definitiva e il programma di intervento, con la possibilità per il paziente di essere seguito a casa con strumenti di telemedicina e un personale “account della salute” a disposizione del medico di base. In tutti i casi, attenzione allo stile di vita, con indicazioni specifiche sull’alimentazione, fulcro principale della prevenzione, che potrebbe in futuro far parte anche di programmi più vasti che coinvolgano l’indotto turistico-alberghiero di Chianciano.

Il centro dispone inoltre di tecnologie particolari, come per esempio “l’endobarrier”,  un dispositivo endoscopico che, inserito nel duodeno, consente di ridurre l’assorbimento del cibo, contrastando i problemi di obesità, o le videocapsule che registrano le condizioni del colon senza invasività, usando l’idro-colonterapia come preparazione. E dal prossimo anno si aggiungeranno gastroscopia e colonscopia. Tutto grazie agli investimenti che proseguiranno nel tempo, come ha annunciato l’amministratore delegato di UPMC Italia, Laura Raimondo, precisando che l’Italia rappresenta un’importante “piattaforma di lancio” per le iniziative di UPCM nel mondo.

di Marilisa Zito

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